Intersezioni tra architettura e archeologia, conoscere, preservare e celebrare il passato

“Dove l’arte ricostruisce il tempo”, ricostruzione di una basilica paleocristiana nel parco archeologico Le Basiliche, 2016, Manfredonia (FG) Edoardo Tresoldi e Francesco Longobardi

Colonia romana a partire dal 194 a.C., l’antica Siponto era uno dei principali porti della seconda regione (Regio II) della Roma augustea. Oggi, nella provincia di Foggia, precisamente nel parco archeologico Le Basiliche a Manfredonia, lo scenografo Edoardo Tresoldi ha firmato un’opera permanente dal nome “Dove l’arte ricostruisce il tempo”, con la cooperazione di Francesco Longobardi, progettista e direttore dei lavori. Obiettivo dell’intervento la ricostruzione di una basilica paleocristiana e la contestuale protezione, fruizione e celebrazione dei resti archeologici, tra cui i mosaici a pavimento. Per l’occasione, è stata realizzata una struttura che ricrea le forme della chiesa a partire da una maglia metallica elettrosaldata; in tutto 4.500 metri quadrati per 7 tonnellate. Questo intervento, costato 900 mila euro, rientra nel progetto di restauro e riqualificazione del sito archeologico di Siponto, gestito dal Segretariato Regionale MIBACT per la Puglia e dalla Sovrintendenza Archeologica della Puglia e finanziato con fondi strutturali pubblici del Programma Operativo Interregionale (3,5 milioni di euro totali per il periodo 2007-2013). Quest’opera, alta 14 metri, rievoca la geometria della basilica nella sua ultima fase evolutiva. La chiesa, ripartita in tre navate,

subì infatti delle modifiche nel corso della sua storia: venne dotata di un nuovo pavimento mosaicato e, in epoca altomedievale, vide l’introduzione di un doppio livello attraverso la sopraelevazione del presbiterio e la divisione delle navate per mezzo di pilastri. Osservandola, si percepisce immediatamente l’intento progettuale di “muoversi” al confine tra architettura e scultura. Inoltre, l’impiego della rete metallica la fa sembrare un enorme ologramma ed evoca sensazioni di leggerezza e trasparenza, ancor più rafforzate dal sistema illuminotecnico e dalla vicinanza dell’adiacente chiesa medievale di Santa Maria Maggiore, esempio di architettura romanica costruita tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, con cui instaura un interessante gioco di volumetrie e consistenze. Il contesto archeologico circostante, caratterizzato dalla presenza di scavi risalenti al periodo medioevale di Siponto, gioca qui un ruolo attivo fondendosi all’architettura-scultura e innalzando il valore estetico-qualitativo del progetto stesso. La speranza, ora, è che il sito venga reso più accogliente e gradevole attraverso la piantumazione di alberi e arbusti e che il parco archeologico Le Basiliche venga inserito in itinerari turistici, alla pari del vicino complesso medievale di San Leonardo di Siponto e del Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, così da generare un indotto per l’economia locale e favorire lo sviluppo dell’area.

Ricostruzione del teatro Talia, 2012, Lisbona

Gonçalo Byrne Arquitectos e Barbas Lopes Arquitectos

La Quinta das Laranjeiras è un’area suburbana di Lisbona che, nel suo tessuto, accoglie uno spazio multifunzionale un tempo dimora di un teatro neoclassico, commissionato nel 1842 all’architetto italiano Fortunato Lodi dall’allora conte di Farrobo. Il teatro Talia, una piccola struttura eretta di fronte alla residenza del conte stesso, deve il suo nome alla musa della commedia (Talia o, in portoghese, Thália) e fu per molto tempo sede di opere, spettacoli e feste esclusive. Un incendio, divampato nel 1862 in seguito a interventi di manutenzione, ne causò la distruzione e la scomparsa di tutti gli oggetti preziosi in esso contenuti (grandi lampadari, raffinate decorazioni dei soffitti e ampi specchi in cornici dorate). L’edificio venne lasciato all’abbandono per quasi centocinquant’anni, mentre la residenza, dopo vari passaggi di proprietà, finì nelle mani dello Stato nel 1948, che la trasformò in uffici ministeriali. Tale operazione non decretò, tuttavia, la fine del periodo di decadimento del Talia, che anzi subì la demolizione quasi totale delle coperture nel 1978 (risentendo, inevitabilmente, di un indebolimento delle strutture verticali).

Vicenda chiave per la riqualificazione del Talia è stato l’insediamento nel contiguo palazzo, nel 2005, del Ministero dell’Istruzione e della Tecnologia, che tre anni dopo ha lanciato un bando per il recupero del teatro con l’idea di farne uno spazio polivalente per eventi e rappresentazioni. Il progetto vincitore, frutto della collaborazione tra gli studi portoghesi Gonçalo Byrne Arquitectos e Barbas Lopes Arquitectos, ha previsto lo spostamento all’esterno di tutte le funzioni strutturali e la “purificazione” dell’ambiente interno da ogni ornamento, con la conseguente esaltazione della sua semplicità e verticalità (arriva infatti a toccare i 23 metri d’altezza). Scena e platea, inizialmente separate per assolvere i rispettivi obblighi funzionali, sono state dunque riunite sia a livello spaziale, sia da un punto di vista materico. Per il consolidamento delle pareti esistenti, è stato creato un apposito carapace in cemento armato, di colore terreo, che dona compattezza al complesso e ne esalta la geometria semplice. Il risultato finale è stato raggiunto anche grazie alla sostituzione di alcuni corpi architettonici minori annessi al teatro con due padiglioni in metallo e vetro, che ne riprendono lo schema volumetrico e fungono sia da patio per performance all’aperto, sia da basamento trasparente prospiciente la strada e le vicine aree verdi.

Copertura del monastero di San Juan, 2015, Burgos

BSA Arquitectura

Gli stessi principi di esaltazione del passato e di liberazione degli spazi interni dal maggior numero di elementi hanno guidato lo studio BSA Arquitectura nella progettazione di una nuova copertura per il monastero di San Juan, privato di quella originaria a causa di alcuni cedimenti strutturali succedutisi nel tempo. 

Per questa chiesa di Burgos eretta nell’XI secolo, che si impone come luogo storico e punto di riferimento per i pellegrini sulla via di Santiago ma anche come limite tra la città vecchia e la città nuova, lo studio ha deciso di intervenire trasformando i suoi 1.300 metri quadrati in un luogo per eventi culturali. Per fare ciò, ha elaborato una copertura funzionale, esteticamente gradevole, sorretta da una struttura non invasiva e che lasciasse dunque in primo piano l’architettura storica. I progettisti hanno studiato la ripartizione dello spazio del monastero, suddiviso in tre navate, andando a posizionare i pilastri in corrispondenza della navata centrale e creando un gioco di altezze in copertura che riflettesse lo schema distributivo interno. Quest’ultima scelta, oltre a ripristinare le quote originarie, dona leggerezza al tetto che sembra fluttuare nello spazio. I suoi piani, sfalsati tra loro, rimangono indipendenti rispetto ai setti murari, così da non alterare il fascino della chiesa, e vengono rivestiti da lamelle in legno e da pannelli in vetro traslucido, rispettivamente nella porzione interna ed esterna. Entrambi gli strati costuiscono un filtro per la luce naturale e creano un’atmosfera scenografica convincente; il legno, inoltre, è un elemento di mediazione ideale tra il carattere storico del monastero e le geometrie contemporanee della struttura in acciaio mista a vetro. Degno di nota è lo studio dell’illuminazione, che va a celebrare le rovine e a scandire i corsi lignei, rendendo riconoscibile questo “pezzo di storia” anche durante la notte.

Copertura di un sito archeologico presso il parco archeologico El Molinete, 2011, Murcia Amann-Cánovas-Maruri 

El Molinete a Cartagena, in provincia di Murcia, con i suoi oltre 26 mila metri quadrati di estensione è uno dei parchi archeologici in area urbana più estesi d’Europa. Gli scavi, iniziati nella seconda metà del Novecento, hanno riportato alla luce dei reperti del III secolo a.C., disseminati sia nella parte superiore della collina sia lungo la porzione sud-est della pendenza. Nel 2008, grazie ai finanziamenti regionali e municipali, è iniziata un’operazione di ricerca, conservazione e tutela del patrimonio archeologico. In questo contesto, lo studio Amann-Cánovas-Maruri è stato chiamato a realizzare una struttura a protezione di alcuni resti risalenti al periodo romano (terme, foro e domus), diffusi in un’area di 2.036 metri quadrati. 

È stato dunque necessario analizzare in maniera approfondita il tessuto urbano, che si connota per la presenza di una trama eterogenea e in cui trovano posto architetture tra loro molto diverse per scala, materiale, tipologia e periodo storico (dalla dominazione romana, passando per l’epoca barocca e arrivando fino ai giorni nostri). Lo studio Amann-Cánovas-Maruri ha così proposto l’introduzione della copertura come prosecuzione naturale dei palazzi limitrofi, sviluppandola lungo un asse parallelo alla strada; una scelta tesa a favorirne l’inserimento sensibile nel contesto e a farla risaltare quale elemento migliorativo del patrimonio costruito. Il suo corpo oblungo, dalla geometria sfaccettata e dallo scheletro parzialmente in vista, assolve il duplice compito di proteggere e riunire i reperti sotto un unico tetto, favorendo quindi una maggiore coesione visiva. Contestualmente alla sua edificazione, è stata prevista la costruzione di una nuova “facciata urbana” a delimitare il sito e, internamente, di un percorso sopraelevato per rendere accessibili i reperti anche per visitatori disabili.

La struttura si compone di uno scheletro in travi d’acciaio, rivestito da un doppio strato che non richiede eccessivi elementi di supporto e infonde leggerezza: il primo, più interno, è formato da un sistema modulare di lastre corrugate in policarbonato; il secondo, visibile dall’esterno, conferisce un’immagine omogenea alla copertura ed è stato realizzato con lamine in acciaio perforate, così da filtrare l’ingresso della luce naturale.

Spazio pubblico multifunzionale in corrispondenza di un sito archeologico, 2013, Saragozza

Sergio Sebastián Franco

Ancor più puntuale l’intervento di Sergio Sebastián Franco a Daroca, in provincia di Saragozza. L’architetto ha vinto un concorso di idee indetto dal Comune in seguito alla scoperta di alcuni reperti archeologici nella piazza tra le due vie parallele Calle Hospital e Calle Maestro Mingote, dove sarebbe dovuto sorgere un piccolo parcheggio temporaneo.

In Spagna, in caso di scavi edilizi, le operazioni devono essere precedute dall’indagine in situ su eventuali giacimenti archeologici sotto la supervisione di un rappresentante del Dipartimento di Patrimonio Culturale. In caso di ritrovamenti, generalmente questi vengono esaminati, datati e successivamente ricoperti con sabbia, terra e cemento. In questa circostanza, invece, si è deciso di optare per una soluzione maggiormente celebrativa. I resti più antichi tra quelli rinvenuti a Daroca risalgono al periodo romano e celtiberico e hanno - di fatto - rivoluzionato le certezze rispetto al periodo di fondazione della città (fino a quel momento si pensava che fosse sorta nel Medioevo). Di conseguenza, si è deciso di indire un concorso con l’intento di risolvere il rapporto tra l’esigenza iniziale del parcheggio e la presenza di queste importanti scoperte archeologiche.

La soluzione concepita da Sergio Sebastián Franco si propone come spazio polivalente di carattere pubblico (sala convegni, parcheggio temporaneo e area espositiva) strutturato su più livelli. L’edificio, semi-ipogeo, copre un’area di 350 metri quadrati dal perimetro irregolare, delineata da lamine in acciaio Cor-ten. La copertura, accessibile attraverso rampe, è stata impostata come piccolo spazio di sosta temporaneo costellato da sedute. Internamente, gli ambienti vengono razionalizzati e scanditi nella loro successione verticale da una struttura in calcestruzzo che racchiude i reperti (visibili anche dall’esterno, grazie alle porzioni vetrate lungo le facciate prospicienti entrambe le vie). L’entrata e la sala per conferenze occupano il terzo livello affacciato su strada, un piccolo museo e una sala riunioni si situano al secondo, mentre i reperti sono collocati nel primo, il più profondo.

Questa suddivisione funzionale riprende indirettamente la stratificazione dei ritrovamenti: i reperti in mostra si succedono dal più “recente” al più antico dall’alto verso il basso, partendo dai resti degli insediamenti medievali, passando per quelli delle muraglie islamiche fino ad arrivare ai ritrovamenti romani e poi quelli celtiberici. Questo perchè, in passato, la prassi costruttiva di Daroca vedeva le edificazioni precedenti progressivamente coperte dai nuovi interventi. In termini costruttivi, questa antica strategia edilizia ha facilitato l’esecuzione dei lavori, permettendo al team di progetto di spingersi fino a sette metri di profondità senza la necessità di rinforzi strutturali. Inoltre ha garantito una lettura piuttosto semplice ed evidente della sequenzialità storica, ulteriormente evidenziata da un apposito sistema di illuminazione.

Biblioteca comunale, Ceuta, 2014

Paredes Pedrosa Arquitectos

Ceuta è una città autonoma spagnola, situata nella punta settentrionale dell’Africa, in territorio marocchino. Una città dal tessuto complesso, poiché compatto e caratterizzato da un forte dislivello e dalla presenza di resti archeologici che riportano alla luce frammenti di storia della dinastia marinide (XIII-XV secolo d.C.).

Qui, Paredes Pedrosa Arquitectos ha vinto un bando di concorso per la realizzazione di una biblioteca comunale in piena area urbana. Lo studio spagnolo, conscio della presenza in situ di reperti archeologici da integrare nella proposta, ha disegnato un edificio “unificatore”, in grado di accogliere e fare convivere al proprio interno i diversi elementi e le varie funzioni. La geometria dell’architettura è un primo e chiaro segno delle indagini archeologiche condotte: l’edificio si sviluppa a partire da una pianta triangolare, con sette pilastri a supporto della struttura, che ricalca la griglia ortogonale dell’antico insediamento (ruotata rispetto a quella attuale di Ceuta). I primi tre piani sono riuniti all’interno del basamento in calcestruzzo, che dona solidità al complesso e protegge i reperti. Qui, l’area archeologica mantiene una posizione centrale, su cui si affacciano una serie di terrazze interne che ospitano la biblioteca, l’auditorium e le sale di lettura. I cinque livelli successivi, che accolgono il deposito, gli uffici e l’archivio, vengono inquadrati da un involucro in metallo e vetro, punteggiato da aperture, inquadrate da cornici in calcestruzzo, che mantengono vivo il contatto tra lo spazio pubblico e la città. La differenza di rivestimento tra piani inferiori e superiori è stata scelta sia per il piacevole contrasto materico, sia per ragioni strutturali (alleggerisce lo scheletro esterno) ed energetiche (massimizza l’uso della luce naturale, abbattendo l’irraggiamento e i costi energetici). In sommità, è stata introdotta una sala lettura all’aperto, schermata da una doppia facciata, da cui si possono ammirare i due mari e i due continenti.

Musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova, 2010, Lisbona

Carrilho da Graça Arquitectos

La collina su cui si erge il castello di São Jorge, a Lisbona, è un punto panoramico dal quale osservare l’estuario sul fiume Tago e la vallata interna. Su questo promontorio è stato identificato il sito archeologico di Praça Nova, un’area di 3.500 metri quadrati delimitata a nord e a ovest dalle mura, a sud dalla chiesa di Santa Cruz. Al suo interno accoglie resti di diversi periodi storici: due insediamenti dell’Età del ferro e dell’occupazione musulmana durante il Medioevo, infine un palazzo del XV secolo. Con lo spostamento degli esemplari più significativi nel museo del castello, il resto del patrimonio archeologico è rimasto “scoperto”, in attesa di un intervento di opportuna protezione e musealizzazione.

Il progetto a firma di Carrilho da Graça ha visto come prima operazione la delimitazione “chirurgica” del sito attraverso una membrana, realizzata in acciaio Cor-ten per la sua capacità di acquisire man mano carattere con l’usura del tempo, che ne definisce il perimetro e regola gli accessi e le vedute panoramiche. Discendendo lungo le scale di ingresso, si incontrano i vari reperti suddivisi per livelli e inframezzati da gradini, rampe e sedute. In corrispondenza del primo, i più recenti, ovvero i resti del pavimento di un palazzo del XV secolo appartenente al vescovo di Lisbona, protetto da una struttura sospesa a schermo dei mosaici.

Procedendo oltre, l’insediamento musulmano, con i suoi affreschi dell’XI secolo, ha offerto allo studio l’occasione di rileggere in chiave astratta e scenografica l’esperienza spaziale del tempo. Carrilho da Graça ha progettato una struttura semi-ipogea, organizzata in due blocchi architettonici che riprendono la suddivisione degli ambienti e le geometrie di un insediamento tipo dell’epoca. Le stanze tra loro indipendenti si distribuiscono attorno a un patio, unica fonte diretta di luce e ventilazione naturali, e vengono protette da una copertura traslucida in policarbonato misto a legno. Le pareti bianche si librano al di sopra delle fondazioni toccando il terreno solo in sei punti, laddove non vi sono resti archeologici. 

Infine, in posizione sotterranea, i ritrovamenti dell’insediamento nell’Età del ferro, esposti all’interno di un parallelepipedo che si estende dalla parete perimetrale per abbracciare in profondità gli scavi in un movimento a spirale. Imponente e spettacolare, il volume è attraversato da fenditure orizzontali che invitano l’osservatore curioso all’interno, conducendolo attorno al pozzo artificiale dal quale affacciarsi e godere di una vista privilegiata sui reperti.

Tutte le immagini fornite dagli autori degli interventi, salvo quelle sulla copertura del monastero di San Juan


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