Il recupero fuori Roma

Prendere una città come riferimento, identificare un altro scenario urbano simile e operare un raffronto oggettivo a 360 gradi sono già di per sé operazioni complesse o addirittura inattuabili a causa delle divergenze di contesto e delle innumerevoli sfaccettature (morfologiche, storiche, economiche, socio-culturali ecc.). Le difficoltà tuttavia aumentano se la città di riferimento è Roma che, come già più volte ribadito, racchiude in sé una complessità raramente riscontrabile in altre realtà italiane ed europee. Basti pensare al suo patrimonio culturale, incommensurabile per qualità e quantità:

l’area urbana della capitale rappresenta, infatti, nella sua interezza un “territorio delicato” in cui ogni operazione edilizia deve essere calcolata nel dettaglio, specialmente quando si tratta di scavi, data l’alta probabilità di riportare alla luce reperti storici e archeologici. Da qui deriva un clima di incertezza, in cui spesso le tempistiche si dilatano e la filiera costruttiva viene rallentata o addirittura compromessa inevitabilmente. Una situazione che interessa anche gli interventi di recupero di edifici, complessi o interi comparti urbani.

Tuttavia, la possibilità di effettuare un paragone onnicomprensivo non preclude, di fatto, l’opportunità di ampliare i propri orizzonti, distogliendo (seppur in parte) l’attenzione da Roma e indirizzandola verso altri luoghi. I prossimi articoli nascono dunque dalla volontà di “alzare l’asticella”: non è sufficiente e nemmeno proficuo focalizzarsi solo sulla Capitale nell’analisi del recupero, seppur parziale data la complessità e le sfumature di questa tematica.

Si è così deciso di puntare altrove la lente di ingrandimento, evitando i casi ben riusciti ma poco aderenti al contesto romano. Obiettivo dichiarato è quello di concentrarsi su scenari tra loro diversi, tanto nella tipologia quanto nella scala di intervento, senza mai perdere di vista il quadro romano. I progetti prescelti sono infatti esempi di riqualificazione che presentano analogie con determinati contesti di Roma dove il recupero è terminato, in atto oppure assente.

Se i vari infill architettonici, italiani e non, possono fungere da spunto di riflessione sulle possibili modalità di agopuntura urbana per recuperare teatri e cinema storici, il progetto Rive Gauche crea invece un ponte immaginario tra la Senna e il Tevere, lasciando meditare sull’identità del fiume e delle zone limitrofe in rapporto al resto della città. Bologna, con il PUVaT dell’Agenzia del Demanio, vuole richiamare alla mente i depositi ATAC e le aree produttive o militari di Roma, oggi in fase di abbandono e dismissione, mentre Park Hill a Sheffield si ricollega alle problematiche residenziali, sociali e di integrazione del Corviale. A Delft, la nuova Facoltà di Architettura si propone come polo didattico di eccellenza in luoghi riqualificati, ma anche come architettura capace di ricucire il tessuto urbano. Infine Torino e Manchester, centri dalla forte matrice storica segnati dai cambiamenti architettonici e infrastrutturali dell’era industriale, che hanno saputo adattarsi allo scorrere del tempo e riutilizzare queste risorse di un’epoca ormai passata, non lasciandole divenire relitti urbani ma anzi rimettendole a servizio della città.


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