Rigenerare corviale

Il Serpentone, tra memorie, riflessioni e propositi per il prossimo concorso, confrontato con gli esempi di edilizia residenziale pubblica a Genova e Trieste.

di Paola Rossi
“Il progetto rientra nelle ricerche per una nuova dimensione dell’habitat, che si ponga come radicale alternativa alla dispersione dell’attuale periferia, al ruolo subalterno a livello di uso e di immagine che riveste nei confronti del centro urbano, alla disaggregazione tra residenze e servizi e al declassamento sociale che la caratterizzano” (dalla Relazione al Corviale di Mario Fiorentino, 1972).

Obbiettivi raggiunti? Forse questo è il primo quesito che dovranno porsi i partecipanti all’imminente Concorso Internazionale RIGENERARE CORVIALE che l’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia sta organizzando con ATER Roma. Offrire risposte ri-pensando il sistema organizzativo e di relazioni tra le varie parti funzionali e tra il tutto e l’intorno sarà uno dei temi che verranno affidati ai concorrenti progettisti. Prima fra tutti la ri-progettazione del sistema tra collegamenti verticali e distribuzione orizzontale e soprattutto l’accessibilità e permeabilità del piano terra. 

Corviale, descritto dalle carte urbanistiche comunali come Piano di Zona n° 61 destinato all’edilizia economica e popolare, progettato nei primi anni Settanta e ultimato nell’anno 1982, è sostanzialmente rappresentato da un edificio lungo un chilometro destinato alla residenzialità di 8500 persone. Situato alla sommità di una delle aree naturali che si elevano e si insinuano ai margini della piana del Tevere, posizionato lungo la linea di crinale, è immerso nella campagna romana. Per le sue caratteristiche eccezionali ha attirato da subito l’attenzione non solo del mondo dell’architettura ma anche di molta dell’opinione pubblica. Amato, odiato, criticato o difeso a spada tratta, visitato tutt’oggi da delegazioni che giungono da ogni parte del mondo, è diventato allo stesso tempo un monumento all’architettura utopica alla ricerca della città nuova e mostro irrecuperabile. 

“Progettare un contenitore residenziale a nastro, come un grande muro [...] uno spazio introverso [...] ipotesi progettuale concentrata, ad alta densità fondiaria, per poter lasciare naturale e libera l’area restante [...] Corviale resta ancora oggi una periferia anche se è stato pensato come un pezzo di città lineare” (dalla Relazione di Mario Fiorentino al Corviale).

Tutti i nuovi quartieri nati tra gli anni Settanta e Novanta, realizzati con grande impegno finanziario e tecnico, sono stati il frutto della sperimentazione sulla città contemporanea e volevano essere, insieme, il disegno di una nuova forma urbis. In realtà dobbiamo dire purtroppo che appaiono ancora sfavorevoli alla libera e armoniosa espressione della vita della comunità che vi si insedia e anche scollegati e non partecipi della città e della storia del sito, legati al paesaggio soprattutto dal patto di risparmio massimo del suolo, con la massima concentrazione dell’edificato. Il rapporto tra le macro-dimensioni dei pieni e dei vuoti fa sì che gli spazi pensati liberi risultino terra di nessuno, vuoti urbani che non permettono la saldatura con l’intorno e con la città preesistente e, se creati all’interno dello spazio costruito, può succedere che all’abbandono segua velocemente l’occupazione abusiva, come è avvenuto in maniera eclatante nel IV piano libero destinato in origine a servizi: la “rue intérieure” di Corviale ormai saturata da alloggi abusivi che a breve sarà ristrutturata, come ci spiega Daniel Modigliani sempre in queste pagine.

Corviale, nella sua immagine assoluta, è certamente unico per concettualizzazione urbanistica, architettonica e sociale.

Non è però il solo fenomeno di gigantismo architettonico costruito in Italia: diversi quartieri P.E.E.P., sorti ai margini estremi delle grandi città, hanno visto l’ideazione e la realizzazione di macrostrutture assimilabili anche formalmente al Corviale e in queste pagine ne abbiamo scelti due, a Genova e Trieste.

Il Forte Quezzi di Genova, detto il Biscione, progettato nel 1954 e ultimato nel 1968 è un insediamento residenziale situato in posizione dominante e visibilissimo dalla città, costituito da cinque caseggiati, lunghi ciascuno oltre 300 metri. Al terzo piano una “rue intérieure” fa riferimento esplicito all’Unité d’Habitation di Marsiglia di Le Corbusier (1947-52) e attraversa la struttura da parte a parte, formando un’immensa terrazza panoramica continua, che nelle intenzioni del progettista avrebbe dovuto costituire una moderna promenade architecturale.

Rozzol Melara a Trieste, detto il Quadrilatero, è situato al margine est di Trieste, su un crinale ampiamente visibile dalla città e dal mare. Progettato tra il 1968 e il 1973, ultimato nel 1982, ha la forma di un parallelepipedo quadrangolare pensato anch’esso come edificio-città per 2500 abitanti.

Abbiamo pensato, in queste pagine, di dare voce a Daniel Modigliani, architetto e Commissario Straordinario di Ater Roma, e a Massimiliano Capitanio, presidente della Cooperativa Sociale La Quercia che dal 1998 attua il Progetto Habitat in Rozzol Melara.

è questo un primo momento di ricerca e valutazione, altri ne seguiranno in questi mesi anche con pubblici dibattiti, tutti finalizzati alla migliore organizzazione dell’iter concorsuale fino alla pubblicazione del Bando di Concorso Internazionale che ha l’ambizione di chiedere ai progettisti di sfatare l’immagine astratta e fredda che il cittadino comune si è fatta della città moderna, con l’aspirazione dichiarata di ri-generare Corviale, con una idea di trasformazione che possa rendere accogliente il complesso, alla ricerca di una qualità di vita cui tutti hanno diritto.


Programma Habitat, un esempio virtuoso di partecipazione sociale

di Massimiliano Capitanio
Presidente Cooperativa Sociale La Quercia

In effetti, io sono entrato nel Quadrilatero di Melara, per la prima volta, nel 1994, da educatore di strada di una cooperativa sociale triestina, La Quercia, che gestiva, attraverso appalto, il servizio Socio-Educativo Minori del Comune di Trieste.

Ricordo che allora l’Astronave (nomignolo bello, che all’epoca veniva dato al Quadrilatero, in contrapposizione a quello brutto di “Casermone” o “Alcatraz”), con i suoi 649 alloggi e circa 2.000 persone residenti, mi era sembrata subito affascinante e, allo stesso tempo, brutta, piena solo (apparentemente) di cemento armato, buia in tanti dei suoi mille angoli ma viva, pulsante, con i ragazzini che si incontravano tra “compagnie” sparse in cinque-sei luoghi strategici del quartiere, e con la luce del sole che, specie al tramonto, tuffandosi nel mare di Trieste, la colorava di un arancione acceso che riscaldava il cuore, anche in mezzo a tutto quel cemento.

Allora, da educatore, ho percorso molti chilometri all’interno del quartiere per poterlo osservare da angoli visuali diversi, per poter incontrare tutte le persone che potevo, per capire quale fosse il “loro angolo visuale”. Era importante, e urgente, poter contribuire al cambiamento nel passaggio tra mal-stare e ben-stare, ri-attivando le persone residenti, partendo dai punti di forza e non da quelli di debolezza, trasformando la lamentela in proposta, lavorando su quello che c’era e non su quello che mancava, agendo sinergicamente con Enti, associazioni, commercianti, cittadini, media locali in modo da sviluppare processi di partecipazione, diffusione delle responsabilità, proattività… e qui, nel 1998, si innesta il Programma Habitat, promosso dall’Azienda per i Servizi Sanitari Triestina, dal Comune di Trieste e dall’ATER di Trieste (proprio in quegli anni, l’allora Iacp diventò ATER) per migliorare il livello di qualità della vita delle persone attraverso due processi: il lavoro integrato tra Enti e soggetti presenti sul territorio, con risorse dedicate; la partecipazione attiva delle stesse persone residenti, mutuando dalla psicologia di comunità uno dei principi guida: chi meglio di una comunità territoriale di persone, se accompagnata e non diretta, può individuare sia i problemi che ha al suo interno, sia le soluzioni agli stessi?

Così, negli anni, sono stati stretti patti territoriali con cittadini e associazioni che hanno ricevuto spazi, luoghi di aggregazione, impianti sportivi, in cambio di un comune impegno a favore della comunità territoriale di Rozzol Melara, sono state investite risorse pubbliche per riqualificare spazi e impianti (costruito un campo da calcio con spogliatoi e tribune in cui svolgere allenamenti e tornei amatoriali a livello cittadino), le lunghe “passeggiate” interne al quartiere sono state decorate con graffiti, ideati e realizzati da giovani writer, che hanno ricevuto una commessa dall’ente proprietario, l’ATER, sostenuto dagli altri Enti e dalla stessa La Quercia che conosceva perfettamente i ragazzi/artisti. I bozzetti dei soggetti con cui poter decorare le passeggiate del quartiere, sono rimasti esposti per sei mesi in ogni luogo di aggregazione e/o di passaggio interno al Quadrilatero, in modo che le persone, bambini, adulti e anziani, potessero dire se preferivano, ad esempio, come soggetto rappresentativo “dell’ala gialla” il sole, il girasole, un canarino… sono state fatte diverse assemblee di quartiere per decidere, insieme, quali colori, quali immagini, Melara dovesse avere dipinte sui muri (ex)grigi.

Sempre l’ATER di Trieste ha attivato, attraverso la cooperazione sociale, un servizio di Portierato Sociale, attivo per registrare le problematiche abitative e manutentive, per sostenere soluzioni, partecipazione. L’operatore/trice di tale servizio è una persona residente, (ri)conosciuta dagli abitanti.

Molte sono state le iniziative avviate e diverse le aree e i quartieri cittadini in cui Habitat, oggi Habitat Microaree, è stato attivato. 

Sono diverse le associazioni che hanno condiviso il destino, e il futuro, con Melara, una di queste, proprio in questi giorni ha festeggiato i venti anni di vita, ha deciso di chiamarsi proprio come il quartiere e, con il benestare dell’architetto Celli, coordinatore del gruppo di architetti che hanno progettato il Quadrilatero, ha scelto quale suo logo (identità) il Quadrilatero stilizzato, con i quattro colori delle “ali” in cui è suddiviso (gialla, blu, rossa, verde), che inizialmente era stato disegnato per i contrassegni dei posti macchina.

Le persone hanno deciso, insomma, di diventare attori e non spettatori, di interessarsi, insieme ai servizi, dei residenti in maggiore difficoltà, di non considerare necessariamente vandali i giovani che, alla fine, hanno contribuito a decorare il loro quartiere, a risistemare il loro campo di calcio, a migliorare la qualità della vita in casa loro.

Negli anni, tutto questo processo attivato ha contribuito a far sì, concretamente, che le persone residenti non chiedessero più così frequentemente un cambio alloggio per andarsene, anzi si è invertita la tendenza con persone che chiedono un alloggio a Melara. 

Certo, problemi ne esistono ancora, i servizi sono presenti… ma se i graffiti, magari un po’ scoloriti, sono ancora sui muri, non coperti o sporcati da segni e scritte, forse qualcosa vorrà significare.


Riprogettare un simbolo dell’edilizia contemporanea

di Daniel Modigliani
Architetto, Commissario Straordinario ATER 

Il “Corviale” da tempo, nelle comuni convinzioni, ha il potere di evocare insieme periferia, degrado fisico e sociale, fallimento dell’urbanistica e dell’architettura moderna. Un edificio tanto grande da essere una piccola città, una utopia realizzata con pervicace determinazione dai migliori rappresentanti della cultura urbanistica e architettonica attiva negli anni del boom edilizio. Una delle risposte più dure e più coerenti tra le realizzazioni dei programmi di edilizia residenziale pubblica. Una sorta di piano-progetto nel quale l’impianto urbanistico è perfettamente aderente con l’edificio e i suoi manufatti di servizio, che ha oggi più che mai la forza di un “manifesto”. 

Decenni di ritardi nella realizzazione dei servizi essenziali e l’isolamento dal resto della città hanno determinato, fin dall’inizio, enormi problemi sociali. 1.300 famiglie sono state abbandonate in mezzo alla campagna, in un edificio lungo un chilometro. La previsione di destinare a servizi di prossimità il cosiddetto “piano libero”, un piano con la funzione di strada urbana che si sviluppa orizzontalmente tagliando a metà tutto l’edificio, si è rivelata inattuabile. L’intero piano è stato, infatti, occupato da famiglie senza casa, che vi risiedono ormai da più di trent’anni.

Ci sono stati però nei tre decenni trascorsi, e con continuità, interventi pubblici che hanno ribaltato la situazione. Sono stati costruiti tutti i servizi pubblici di livello locale previsti. Tutti svolgono positivamente la loro funzione. Ci sono le scuole, una biblioteca pubblica, una sede per l’assistenza sanitaria, più sedi per attività religiose, per i partiti politici e per le associazioni, impianti sportivi che servono una vasta area. La sede principale dell’amministrazione locale, che governa un intero settore urbano, è con la sua aula consiliare e con la sua polizia municipale nel corpo di Corviale. A questi si sono uniti, da tempo, servizi privati che svolgono importanti attività culturali e sociali.

Agli interventi pubblici si aggiunge il progetto per la ristrutturazione del piano libero, previsto dal Contratto di Quartiere II, in procinto di partire, che permette di realizzare nuove e dignitose case. In queste andranno ad abitare sia gli ex occupanti che hanno diritto a una casa popolare, sia altre famiglie individuate dalle priorità dell’emergenza casa.

Oggi è però necessario ristrutturare l’intero edificio, da sempre sofferente per scarsa manutenzione: un recupero edilizio necessario, ma non sufficiente. 

Il progetto originario va rivisto, ci vuole il coraggio di cambiare anche la struttura funzionale del corpo edilizio per ottenere un “quartiere” nel quale la vita della comunità insediata possa diventare migliore e anche esempio per altre parti di città. Il potenziale è tutto già presente.

Il concorso internazionale che l’ATER, proprietaria e gestore dell’edificio, sta lanciando con il sostegno politico ed economico della Regione Lazio, ha l’ambizioso obiettivo di instaurare un vero processo di rigenerazione urbana, dopo aver coinvolto tutti gli interessati, dagli abitanti, agli Enti e a tutte le istituzioni pubbliche e private che hanno contribuito senza incertezze.

Con il concorso internazionale, i percorsi pubblici e le parti comuni dell’edificio sia orizzontali sia verticali dovranno essere riprogettati, ove necessario, per garantire tranquillità, sicurezza e un facile uso. Il piano terreno, che oggi ospita una strada interna buia e senza vita dovrà tramutarsi in una strada urbana luminosa, attraente e piena di attività.

Rigenerare significa attivare tutte le potenzialità dell’economia e della società locale, valorizzando gli straordinari luoghi e gli straordinari spazi che le generazioni passate ci hanno lasciato, tutti insieme, senza lasciare indietro nessuno. La città deve prendere possesso di Corviale e Corviale deve entrare nella città.


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