Il concorso per i nuovi uffici della camera dei deputati 2.0

Cronografia del progetto storico per l’edificio della Camera dei Deputati e considerazioni sul prossimo concorso
Il Consiglio dell’Ordine degli Architetti di Roma, recentemente insediato, si è proposto fin dall’inizio della propria attività di riportare al centro del dibattito culturale internazionale il “Fare Architettura” nella nostra città. I lunghi e faticosi anni che hanno contrassegnato il grande sforzo relativo al processo del percorso di formazione del Nuovo Piano Regolatore hanno finito, inevitabilmente, con lo spostare l’attenzione collettiva sui diritti edificatori e compensazioni, più in generale sui termini economici che regolano interessi pubblici e privati rimandando la costruzione degli spazi pubblici a una pianificazione di secondo livello e relegando il tema della qualità architettonica alla realizzazione iconica di oggetti “feticcio” affidati al sistema delle archistar.

Eppure aldilà degli spot propagandistici, dagli esiti a volte problematici, che le Amministrazioni comunali hanno ritenuto di apparecchiarci negli anni, la storia ci ha insegnato che un’opera di architettura non si può ridurre a un esercizio di stile ma che, se davvero vuole esser grande, deve divenire un’interpretazione della reale rappresentativa di un afflato collettivo. Allo stesso modo, è ormai patrimonio condiviso di tutta la disciplina che una città è composta essenzialmente di spazi pubblici, in assenza dei quali è solo qualcos’altro, un luogo dove abitare o lavorare o divertirsi, ma non una città. E così, mentre si banalizzava l’architettura riducendola a immagine priva di contenuti trascurando la progettazione dello spazio pubblico, paradossalmente andava crescendo a dismisura l’attenzione per ogni cavillo burocratico, al punto che la maggior parte del nostro tempo lavorativo si consuma oggi in disquisizioni prive di senso con funzionari scontenti del proprio lavoro o in goffi tentativi di riscuotere crediti ampiamente scaduti. Per noi, educati da “cattivi maestri” a vivere con passione il nostro mestiere, questa situazione di degrado della nostra professionalità è inaccettabile. Al contrario è sempre più forte la voglia di Architettura e la domanda di confronto, come del resto risulta anche dal dato relativo alla partecipazione al recente concorso per l’area di via Guido Reni, nel quale si sono impegnati architetti e ingegneri di tutto il mondo riuniti in 246 raggruppamenti. La migliore soluzione per coinvolgere le energie e le risorse disponibili innescando un confronto che riporti al centro del dibattito i temi dello spazio pubblico e della grande architettura a Roma è senz’altro il concorso internazionale aperto a tutti che ha contribuito in misura determinante al rilancio delle grandi capitali europee (prime fra tutte Parigi e Berlino). Naturalmente i concorsi che auspichiamo dovrebbero far riferimento alla specificità della migliore architettura italiana, ovvero a quella capacità critica di rileggere e interpretare le preesistenze storiche, di ”costruire nel costruito” che dalla linea editoriale della Casabella-Continuità rogersiana con la Torre Velasca di BBPR, la Rinascente di Albini, gli Uffici INAIL di Samonà, fino agli studi muratoriani per “un’operante storia urbana” passando per l’analisi sul “tipo” giunge fino alle riflessioni sul linguaggio tuttora in corso. Nella nostra città esistono almeno due temi sicuramente legati alla nostra migliore tradizione, che per motivi diversi possono assumere valenza simbolica e rilevanza internazionale: il primo potrebbe essere una consultazione pubblica per un argomento già al centro del dibattito scientifico e politico, ovvero per la sistemazione di alcune porzioni dell’area archeologica centrale; il secondo vorremmo fosse il rifacimento del concorso indetto nel 1966 per i nuovi uffici della Camera dei Deputati. Mentre sull’area archeologica centrale si stanno costruendo ipotesi con l’Amministrazione comunale in attesa di confrontarsi con Sovrintendenze e Commissioni (magari ne parleremo in futuro), per l’edificio in Piazza del Parlamento stiamo cercando di sensibilizzare la rappresentanza parlamentare. 

Questo articolo vuole essere il primo piccolo, ma speriamo significativo, passo.

Non è questo il luogo per entrare nelle complesse vicende urbane che hanno determinato l’attuale assetto di Piazza del Parlamento, legate soprattutto alla volontà del neonato Regno di Italia di autorappresentarsi in un nuovo centro del potere tra piazza Colonna e via del Corso, ma il dato rilevante è che dopo gli sventramenti e la costruzione del Parlamento di Ernesto Basile, il completamento dell’isolato demolito all’inizio del XX secolo anche per la nuova Repubblica rimaneva un problema irrisolto (e lo è ancora!). Come giustamente rilevato da Manfredo Tafuri, “La struttura urbana risultante dallo scontro tra le persistenze medioevali, le alterazioni barocche, gli interventi ottocenteschi e quello basiliano ha tutti gli aspetti di un colloquio interrotto e per giunta tra sordi più che di struttura anzi dovremmo parlare di materiali urbani in attesa di ristrutturazione, di frammenti che non si compongono nel loro scontro” (M. Tafuri, Il Concorso per la nuova Camera dei Deputati, Vicenza, Officina tipografica vicentina G. Stocchiero, 1968 pag. 22). Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, l’area ambita per la sua posizione è al centro di una curiosa serie di progetti, da quello della Cooperativa Albor per realizzare un edificio multifunzionale con uffici, negozi e sala cinematografica, fino a quello dell’impresa Michelli Ariani per un cinema all’aperto fino all’Automobile Club, che avrebbe voluto costruire la propria sede con annesso parcheggio. Solo alla fine, dopo che un incarico formale conferito a Florestano Di Fausto (parlamentare e architetto) non sortisce alcun risultato, finalmente la repubblica ha un sussulto di dignità e decide di indire un concorso pubblico. Il bando di concorso viene pubblicato sulla G.U. della Repubblica Italiana N. 120 del 17/5/66 nella sezione Concorsi ed Esami di Stato. All’art. 1 del bando si legge: “E’ indetto il pubblico concorso fra gli ingegneri e gli architetti italiani iscritti negli Albi per la redazione di un progetto di massima relativo alla costruzione di un edificio da destinare ad uffici e servizi della Camera dei Deputati e di un’autorimessa interrata sottostante l’edificio”. 

Il programma delle funzioni richieste redatto con meticolosità prevede all’art. 2 del bando:

A. Uffici e servizi utilizzati dai parlamentari, del personale e degli estranei:

1. Biblioteca e relativi uffici;

2. Uffici destinati ai Servizi Studi, legislazione e inchieste parlamentari, e Documentazioni e statistiche parlamentari;

3. Autorimessa sotterranea;

4. Ristorante;

5. Sale di ricevimento per il pubblico.

A. Uffici e servizi utilizzati dai parlamentari e del personale;

1. Archivio centrale (locali per macchinari ed uffici);

2. Centro elettronico di elaborazione dati;

3. Centro microfilmatura e riproduzione documenti;

4. Sale di scrittura per i deputati;

5. Uffici degli ex Presidenti dell’Assemblea;

6. Due appartamenti di rappresentanza;

7. Servizi vari: ambulatorio medico, banca, ufficio postale,telegrafico e telefonico, tabaccheria, impianti igienico-sanitari e barbieria.

La giuria molto numerosa (e questo sarà uno dei maggiori problemi) è per lo più formata da funzionari parlamentari e ministeriali, mentre il compito di rappresentare le istanze disciplinari e culturali è demandata a quattro professori universitari, tre dei quali esperti per lo più della storia precedente alla rivoluzione del Movimento Moderno (Malajoli, Salmi e De Angelis d’Ossat) il quarto, Giovanni Klaus König, invece “scarsamente interessato alla storia antecedente al movimento moderno”. (M. Tafuri, Il Concorso per la nuova Camera dei Deputati, Vicenza, Officina tipografica vicentina G. Stocchiero, 1968 pag. 10)

La partecipazione era riservata ad architetti e ingegneri italiani ed ha, in questo senso, davvero finito per segnare un significativo consuntivo dello stato disciplinare così ampio al punto di essere presentato successivamente come un bilancio dell’architettura italiana. Sospesi tra modernismo acritico, sperimentalismo post CIAM e forme di storicismo più o meno evoluto o regionalistico, i partecipanti forniscono una suggestiva e credibile testimonianza dell’articolato panorama disciplinare. Sul piano del rapporto con la struttura urbana dei progetti la sintesi dei diversi atteggiamenti operata da Tafuri rimane ancora oggi, dopo quasi cinquant’anni, lucidamente valida.

“Prendendo in esame il significato attribuito di volta in volta al centro storico in relazione al nuovo inserimento, si evidenziano tre diversi atteggiamenti:

a) Quello di chi ignora tranquillamente il problema e situa il progetto completamente al di fuori di ogni relazione con il contesto storico che non sia puramente funzionale […] Quasi tutti i progetti di questo genere si sono affidati ad un cliché International Style […]; essi si rifanno volutamente ad un vuoto di forma;

b) Quello di chi ha tentato di scaturire dall’incontro scontro del nuovo oggetto architettonico con gli antichi tessuti una relazione profondamente e drammaticamente dialettica, tentando di assorbire nel contesto del progetto tutta la complessità strutturale, le stratificazioni, l’emblematicità del centro storico. La mobilità contro la stabilità, il simbolismo contro la percezione distratta […]; il disordine è da essi accettato come realtà da cui far scaturire valori nuovi;

c) Quello di chi, pure volendo impostare una dialettica non evasiva con il disordine urbano, preferisce opporre ad esso un ordine; anche se si tratta di un ordine ideale, fatto di speranze più che di realtà non privo di compromessi e di compiacenze.

A questi tre gruppi va aggiunto il caso isolato del “rifiuto dell’architettura” di Italo Insolera”. (M. Tafuri, Il Concorso per la nuova Camera dei Deputati, Vicenza, Officina tipografica vicentina G. Stocchiero, 1968 pag.24)

A riguardarli oggi, parlare di progetti non è forse neanche corretto; le proposte presentate, soprattutto le migliori, sembrano, in realtà, “visioni” impresse nella mente di chi come me ha avuto la fortuna di conoscere alcuni di questi giganti.

E così come in un caleidoscopio i commissari vedono scorrere sotto i propri occhi gli incredibili vassoi sospesi dei fratelli Samonà, i geometrici volumi illuministi di Aymonino, Manieri Elia e Dardi, studiano la lezione di storia di Quaroni, subiscono il fascino della Roma barocca di Portoghesi e del “barocchetto” di Fasolo, si identificano nelle radici culturali del rigore di Caniggia, sono sbalorditi dalle macchine di Sacripanti e del GRAU, e magari scandalizzati dal costruttivismo di Battisti e Bonfanti, apprezzano la professionalità di Passarelli si insospettiscono per l’approccio ideologicamente urbanistico di Insolera. 

E questo solo per citarne alcuni, al punto che la giuria non sa, non vuole scegliere così che nella relazione del 31/5/67 predisposta dalla Commissione esaminatrice si legge che “pur riconoscendo l’atto di valore delle relazioni proposte, importante contributo alla ricerca architettonica […] non ha ritrovato in alcuno […] la concreta e contemporanea rispondenza alle diverse esigenze risposte dal tema” (Camera dei Deputati, Quaderni dell’Archivio storico n. 11- Inventario del fondo concorso per il nuovo Palazzo della Camera dei Deputati, Roma, 2011).

E così l’esito del concorso con la “democristiana” assegnazione di 18 (?) primi premi con rimborso ex-aequo finisce col diventare un flesso negativo nella storia dell’architettura nella nostra città e forse del paese relegando la ricerca sui temi del linguaggio ai tavoli da disegno e testi universitari. Un’altra conseguenza del mancato verdetto è che lo Stato ha cominciato a spendere somme enormi per prendere in affitto immobili nei pressi della Camera al punto che ancora oggi, dopo le recenti riduzioni (dolorose sul piano occupazionale), sembra che si spendano decine di milioni ogni anno per accogliere funzioni che potrebbero tranquillamente essere ospitate nell’immobile per il quale era stato bandito il concorso. Se si pensa che con le somme spese in poche annualità sarebbe possibile costruire il fabbricato e risparmiare per tutti gli anni a venire, è evidente che la questione economica assume un connotato grottesco e dei numerosi strali giornalistici da rivolgersi, a nostro parer, non certo agli imprenditori che hanno messo i loro immobili a disposizione, ma piuttosto contro l’inefficienza delle istituzioni. Ma in realtà ai nostri occhi il fatto veramente grave è abbandonare un’area così importante al centro della Capitale al degrado balneare delle incannucciate, ora evolute in reti ombreggianti, che consentono di parcheggiare all’ombra le auto di commessi e funzionari. (Una sorta di “Learning from Fregene”). Possiamo discutere all’infinito di quali funzioni collocare nel futuro edificio ma la ridefinizione dell’improbabile spazio urbano attuale è indifferibile. Uno Stato che non trova la forza e la volontà di autorappresentarsi in un’architettura significativa al centro dei luoghi del potere trasmette un messaggio di disimpegno e sfiducia. A voler essere maligni, o forse solamente realisti, le attuali coperture rappresentano al meglio una repubblica “balneare”. Inoltre, un nuovo concorso con un programma anche diverso, comunicherebbe a tutti noi il senso di un grande cambiamento fino a costituire l’evidenza di uno Stato che moralmente e responsabilmente investe nel futuro della collettività. Gli amministratori hanno spesso sollevato le difficoltà operative connesse con le preesistenze archeologiche, noi riteniamo che se veramente il sottosuolo ospita i resti della meridiana di Augusto sarebbe solo una ragione in più per procedere nel segno di un’integrazione fondamentale tra esperienze di ricerca architettonica e archeologica re-intrepretando con gli attuali strumenti operativi e culturali il processo di stratificazione che in fondo è da sempre alla base della costruzione delle nostre città.

Esistono, inoltre, diversi esempi realizzati di progetti dove coesistono architettura e archeologia, al punto da essere certi che il risultato finale costituirà una grande ricchezza per un paese destinato in larga parte a vivere del proprio lascito culturale e di bellezza. Riassumendo, e forse rischiando di scadere nella retorica, noi non chiediamo di rifare questo concorso perché le somme spese per gli affitti a fronte di un’area demaniale in grado di ricevere quelle funzioni forniscono l’immagine di un Paese che non sa amministrarsi, non chiediamo di annullare l’attuale immagine balneare perché deturpa una parte tanto importante nel nostro centro storico, non chiediamo di riannodare il filo spezzato del dialogo disciplinare tra storia e contemporaneità, non chiediamo neanche di ridare senso ad un luogo che da più di cento anni attende una definizione, in fondo forse chiediamo alle Amministrazioni coinvolte di rifare il concorso semplicemente per dimostrarci che questo paese non è morto, ma che al contrario può avere un grande futuro.

Un concorso nel segno del rapporto tra antico e moderno
di Giovanni Caudo
Assessore alla Rigenerazione Urbana, Roma Capitale

La proposta dell’OAR di riaccendere i riflettori sul concorso per l’espansione della Camera dei Deputati è una scelta importante, coraggiosa. Una sfida, a cominciare dall’analisi degli avvenimenti trascorsi e dal valore simbolico che assume la sistemazione di un’area tanto rilevante al centro di Roma anche in relazione al futuro del nostro Paese.

Naturalmente nell’auspicare una riedizione del concorso è innegabile che una pedissequa riproposizione del programma ignorerebbe l’evoluzione degli ultimi cinquant’anni della nostra disciplina, ignorando altresì quei cambiamenti sociali, economici e culturali in corso che chiamano le nostre città a modificarsi, a riorganizzarsi su nuovi principi e logiche di sviluppo sostenibile e a ripensare le funzioni del territorio sviluppando nuove sinergie tra pubblico e privato nel nome di una nuova idea di collettività.

Se devo trovare il fulcro attorno al quale riaprire il concorso e nello stesso tempo stabilire un filo di continuità con l’esperienza di allora, suggerirei il rapporto tra antico e moderno. È questo, ancora, il tema di Roma. Un tema irrisolto e che, forse, anche per questo rende difficile la vita del progetto moderno a Roma, tanto più dei concorsi di progettazione. In questi mesi gli interventi che stiamo perseguendo nel centro storico (la realizzazione della sistemazione di Piazza Augusto Imperatore, il progetto di via Zucchelli, la sistemazione dei Fori) puntano tutti a dibattere di questo rapporto, ad affermare il suo superamento e una sua declinazione attraverso l’esercizio del progetto. Le linee guida del concorso dovranno essere costruite con la più ampia partecipazione e al più alto livello di coinvolgimento istituzionale e culturale, si tratta dell’ampliamento degli spazi della Camera dei Deputati ma dovrà essere anche l’occasione per realizzare uno spazio pubblico per la città.

L’Amministrazione Comunale dichiara la disponibilità a promuovere la proposta collaborando al suo sviluppo, potrebbe essere questo il concorso con cui avviare il protocollo d’intesa sui concorsi che vorremmo sottoscrivere con l’Ordine degli Architetti di Roma.

Imparare dagli errori del passato per una nuova cultura architettonica
di Marco Corsini
Avvocato dello Stato

Il mio intervento su questo tema sarà probabilmente controcorrente, perché l’impressione che balza agli occhi è di trovarsi di fronte a una vicenda tanto amaramente italiana.

Dunque, nel 1966 si decide di aprire un confronto di altissimo livello per individuare la migliore proposta progettuale volta a realizzare un nuovo palazzo da destinare alla Camera dei Deputati a fianco della sede storica. Ora, la prima domanda da porsi è: vi era un bisogno reale di questa opera? A giudicare dagli esiti, si dovrebbe dire di no, altrimenti non si spiegherebbe il nulla realizzativo che per mezzo secolo ha frustrato l’intento. E certo non è credibile il motivo della carenza di fondi, posto che la Camera è signora delle leggi, e nessuna difficoltà avrebbe avuto a prevedere la necessaria provvista finanziaria.

Secondariamente, l’immagine di un Paese che non sa decidere si riflette bene in una gara che finisce senza vincitori, anzi con diciotto quasi vincitori ex aequo. È un vizio endemico molto nazionale: pochi anni più tardi si concludeva senza vincitori l’appalto concorso bandito per la difesa di Venezia dalle acque, dopo i noti tragici eventi alluvionali.

I progetti presentati per Roma erano effettivamente tutti molto stimolanti e di grande interesse, ma senza un effettivo bisogno e senza un vero vincitore, la sensazione che si ha è che il tutto si sia risolto in una (magnifica, ma quanto utile?) esercitazione teorico artistica.

E veniamo all’oggi. Una concezione finalmente civile e moderna delle opere pubbliche vuole che la programmazione e la progettazione di un’opera risponda a una precisa analisi esigenziale. Così certamente non è stato nel passato, ma nel presente vi è effettivamente un bisogno espansivo degli spazi della Camera dei Deputati? Nella prospettiva di un mutato quadro costituzionale che tende al ridimensionamento delle assemblee legislative, il dubbio è più che legittimo.

Una cosa è sicura, il luogo, così vuoto e brutto, non può restare come è ora: dovrebbe essere restituito alla città (sarebbe un bel gesto da parte di una politica che in un secolo e mezzo ha tanto assorbito delle risorse cittadine...), e reso uno spazio pubblico di eccezionale qualità, come merita il suo nobile contesto.

E magari senza l’edificazione di grandi volumi, che darebbero una densità poco sostenibile e poco apprezzata in un tessuto già molto saturo.

Via libera dunque a un nuovo concorso, con una nuova cultura architettonica, magari di respiro mondiale. Ma questa volta, prego, nessuna astratta esercitazione: bisogni effettivi, richieste chiare nel bando, sana partecipazione dei cittadini, e soprattutto capacità (o volontà) di decidere. Altrimenti resta ancora una volta una cosa per soli architetti, e tra cinquant’anni...

Qualità architettonica e scienza tecnica per riprendere la strada dei Concorsi Internazionali a Roma
di Roberto Morassut
Deputato e componente della Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici

Un telo di nylon. 

Un palazzo scrostato. 

Un parcheggio con un piccolo deposito in un angolo dove sono accatastati in disordine materiali da cantiere. 

Non siamo in una delle mille borgate abusive o ex abusive di Roma. 

Siamo al centro di Roma. 

In via della Missione davanti all’ingresso della Camera dei Deputati dove il 18 luglio del 1948 Palmiro Togliatti rischiò di essere ucciso da uno studente siciliano che gli sparo sei colpi di rivoltella. 

Forse non è strano. 

L’abusivismo, il disordine sono a Roma una minaccia costante. Un agente corruttore endemico la cui gravità è sempre inversamente proporzionale rispetto alla cura delle Amministrazioni pubbliche, in particolare del Comune. 

Basta salire ai piani più alti di un qualunque edificio del centro storico per rendersene conto. 

I famosi “tetti di Roma” sembrano una grande immensa borgata fatta di sopraelevazioni, volumi posticci appoggiati alle terrazze, agli affacci della Roma vecchia. 

Questa volgarità, che ben tre leggi di condono hanno reso possibile nell’arco degli ultimi trenta anni, è la estrema prova del valore immenso che ha assunto nelle città italiane lo spazio privato e del meschino spazio che per conseguenza è stato riservato allo spazio pubblico finanche nella sua accezione minimale di spazio esterno, di affaccio pubblico dello stesso spazio privato. 

Il parcheggio della Camera dei Deputati di via della Missione non è uno spazio abusivo ma è un luogo brutto. 

E in quanto tale assume un valore abusivo indiretto perché vìola la dignità ed il decoro di una porzione del centro storico di grande significato simbolico dal momento che si trova davanti a quella che dovrebbe essere considerata la Casa di tutti gli Italiani. 

Dal 1966 si parla, ma senza soluzione, della realizzazione di un parcheggio e di un edificio per uffici di servizio della Camera e che completi quel lotto abbandonato attraverso un concorso di idee. 

Il documento che accompagna questo numero spiega ottimamente tuta la storia e quindi non la ripeto. 

Ricordo che da Assessore all’Urbanistica fui incaricato dal Sindaco Veltroni di giungere con la Presidenza della Camera di allora - eravamo nel 2006 - ad una soluzione definitiva del problema. 

Ci fermammo di fronte alle prescrizioni - più che comprensibili - delle Sopraintendenze che documentarono la presenza nel sottosuolo della Meridiana di Augusto sulla quasi totalità della impronta del parcheggio. 

Da quel tempo sono trascorsi dieci anni ormai e l’Ordine degli Architetti intende rilanciare questo importante tema urbanistico nella convinzione che nuove tecniche e nuove soluzioni ingegneristiche consentano di superare senza danni per le preziose preesistenze archeologiche il problema delle fondazioni e delle relative perforazioni. 

C’è in effetti un fantastico precedente che ricordo sempre. 

Si tratta del Piano di recupero della biblioteca Hertziana sul crinale del colle del Pincio che intorno al 2008 consentì di ampliare le superfici interne dell’edificio mantenendo la sua forma esterne e salvaguardando gli straordinari resti della Villa di Lucullo, delle logge, dei portici e delle splendide fontane posti alle fondamenta dell’edificio seicentesco. 

Quindi l’ingegneria e l’architettura possono superare l’ostacolo della Meridiana. 

Ma occorre un nuovo Concorso internazionale con un bando assai particolare che chiami a proposte di grande qualità e di grande scienza tecnica. 

In questo modo si riprenderebbe la strada dei concorsi internazionali di architettura che ha segnato la città di Roma tra il 1993 ed il 2008 e che è parte integrante della filosofia e delle norme tecniche del Nuovo Piano Regolatore di Roma. 

E in fondo - last but not least - si consentirebbe alla Camera dei Deputati di patrimonializzare un bene di grande pregio e di risparmiare le risorse per gli affitti degli uffici di molti e molti anni a venire. 

Benvenuta dunque questa iniziativa dell’Ordine degli Architetti di Roma e facciamo insieme in modo che essa abbia successo.

Immagini gentilmente fornite dall’Archivio storico della Camera dei Deputati - Fondo Concorso per il nuovo palazzo della Camera dei Deputati.


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