Walter Tocci: La cura del ferro

A vent’anni dalla sua ideazione, la “cura del ferro” è un programma ancora attuale e attuabile, che il suo promotore ripercorre e sostiene con forza come la possibile soluzione alle problematiche del traffico e della mobilità, ma non solo, che affliggono Roma e la sua area metropolitana.

Risale al 1996 la proposta del Comune di Roma nota come rete Metrebus 3x3, che prevedeva la realizzazione di tre passanti ferroviari regionali integrati con altrettante metropolitane urbane. Qual è stata la sorte di quel progetto? Si tratta di uno schema ancora attuale?

«Il progetto Metrebus 3x3 partì subito con l’attuazione di tre tratte ferroviarie, una per passante, ma dopo la realizzazione di quelle prime tre ferrovie è stato purtroppo abbandonato, e nessuna nuova opera è stata portata a termine né progettata. Oggi avremmo sicuramente le opportunità per riprendere e sviluppare quello schema.

L’Alta Velocità ha liberato dal traffico nazionale la vecchia linea tirrenica per Napoli, e la ferrovia fino a Gaeta potrebbe divenire una potente metropolitana regionale, a servizio dei pendolari e a sostegno di un diverso sviluppo dell’agro pontino. Ristrutturare la ferrovia, e in particolare la stazione di Torricola, risolverebbe i problemi di accessibilità al parco dell’Appia antica; inoltre, questa ferrovia potrebbe essere connessa con l’attuale ferrovia Roma nord andando a costituire il quarto passante, tra il nord e il sud della regione. I quattro passanti potrebbero rappresentare il telaio infrastrutturale della Regione capitale, compensando il deficit infrastrutturale accumulato in trent’anni di disseminazione edilizia».

Nell’immaginario collettivo, la struttura dei passanti è stata nel tempo oscurata dalla forma dell’anello. Per sollecitare il completamento del programma ferroviario si sente dire che si deve “chiudere l’anello”. A che cosa ci si riferisce con questa espressione?

«Ci si riferisce di fatto all’attuazione di un’opera ferroviaria nell’arco mancante tra Vigna Clara e l’asse Salario. Un’opera necessaria in un’ottica di pianificazione della rete a lungo termine, ma non giustificata dalla domanda attuale degli utenti. Ritengo che a breve termine sarebbe meglio investire sui passanti, mentre a lungo termine emergono i vantaggi della chiusura dell’anello, poiché questi - una volta ultimati - dovranno attraversare la città utilizzando anche l’arco nord e non più solo quello sud come accade oggi». 

Che relazione intercorre tra la logica dei passanti ferroviari e lo sviluppo della rete metropolitana romana?

«La logica dei passanti si rivela ancora più importante se riferita alle metropolitane in città. La linea C è stata pensata come grande connettore urbano per risolvere tre problemi strategici: integrare con la città l’estesa e frammentata periferia orientale; costruire un asse portante nell’area nord, la più debole di infrastrutture, e realizzare una rete di metropolitane nell’area centrale. Oggi la A e la B si incontrano infatti in un solo punto, ma unite alla C formano una doppia maglia tra San Giovanni, Colosseo, Termini e Ottaviano. La linea C, servendo il cuore del centro storico, crea le condizioni strutturali, insieme ai nuovi tram, per una vera pedonalizzazione. È fondamentale a mio avviso rilanciare la credibilità del progetto della linea C, senza nascondersi dietro le difficoltà archeologiche che, al contrario, possono diventare opportunità, come previsto dal progetto originario redatto secondo il “metodo Roma”, introdotto da Adriano La Regina e basato su una forte integrazione del lavoro di ingegneri e archeologi». 

Quali erano i punti salienti del progetto?

«Innanzitutto collocare i volumi delle stazioni a circa trenta metri di profondità, evitando l’impatto archeologico e attraversando lo strato antico soprastante solo con le scale mobili, che possono passare in modo non invasivo anche vicino ai reperti, rendendoli visibili ai viaggiatori; così concepite, le stazioni aiuterebbero a scoprire una Roma ancora sconosciuta. La linea C è stata tra l’altro progettata per rendere attuabile il progetto Fori, secondo lo studio commissionato negli anni Ottanta dallo stesso La Regina a Leonardo Benevolo. Con la metro C si potrebbe infatti pedonalizzare totalmente l’area, eliminando lo stradone del tutto estraneo al paesaggio storico e recuperando la geometria e le connessioni delle piazze imperiali. Nella pedonalizzazione svolgerebbe un ruolo strategico l’area tra il Colosseo e largo Corrado Ricci, l’unico luogo dell’area archeologica in cui si può scavare in tranquillità, perché privo di reperti. Quello che oggi vediamo come un viale era infatti il sottosuolo della collina Velia, rasa al suolo dal duce negli anni Trenta. La versione originaria del progetto della linea C disegnava sotto il viale e in connessione con la stazione Colosseo un grande foyer di ingresso al parco dei Fori. I cittadini uscendo dalla metropolitana avrebbero trovato un grande ambiente di servizi e di accoglienza, prima di entrare nell’area archeologica all’altezza del Foro della Pace. Questa versione del progetto è stata purtroppo abbandonata nel 2010 per una soluzione di basso profilo che verrà realizzata, a meno di ripensamenti: l’area ipogea viene interamente bloccata dagli impianti della metropolitana, rinunciando alla possibilità di dare al parco dei Fori una formidabile porta sotterranea di accesso. È la conseguenza del ritorno a una progettazione separata tra ingegneri e archeologi: i primi vedono solo il problema funzionale e i secondi rinunciano a proporre soluzioni limitandosi a gestire i vincoli». 

Negli anni Novanta emerse anche, in seguito a studi più approfonditi, la necessità di una quarta metropolitana, la linea D. Quale dovrebbe essere il suo percorso?

«Si tratta di una linea in direzione parallela a ovest della B, da Salario a Ludovisi, passando per Campo Marzio e Trastevere, fino a Magliana e all’Eur. Una linea molto ben calibrata a servizio dei quartieri a più alta densità abitativa e terziaria. Oltre a questa linea, sarebbe necessario estendere il bacino di offerta delle metro esistenti con adeguati prolungamenti per la linea A - oltre il GRA a sud e verso Torrevecchia a nord - e ampie diramazioni per la linea B». 

In questo contesto, quale potrebbe essere la funzione svolta dai tram?

«Consideriamo innanzitutto che Roma nelle direzioni radiali sprovviste di metro presenta flussi di mobilità di circa 3-4 mila passeggeri/ora. Sono livelli di domanda troppo alti per essere serviti dagli autobus. È su tali direttrici che è necessario il rilancio del tram, una modalità di trasporto che, a costi di investimento dieci volte più bassi delle metropolitane, realizza un’offerta di trasporto più potente degli autobus». 

Ci può descrivere la sua idea di città tram-pedonale?

«Come ci insegnano esempi europei, il tram può rappresentare un importante strumento di riqualificazione e ricucitura urbana e non solo una semplice infrastruttura.

A Roma si potrebbero realizzare tre passanti centrali, che coprirebbero tutte le direttrici non servite dalle quattro metropolitane, più un passante periferico nell’area orientale della città. I tre passanti centrali sarebbero perfettamente integrati con le reti metropolitane e ferroviarie, garantendo a queste la distribuzione capillare dei flussi e l’integrale accessibilità dei luoghi. Non sarebbero solo infrastrutture di trasporto, ma creerebbero l’occasione per ripensare la funzione e l’immagine delle vecchie consolari, facendone i più bei viali di Roma contemporanea. I lavori necessari alla realizzazione degli impianti tranviari offrirebbero l’opportunità per fare una buona manutenzione delle vecchie reti urbane - spesso in pessime condizioni - e allo stesso tempo per posare le nuove reti tecnologiche digitali. In alcuni casi si potrebbero realizzare nel sottosuolo parcheggi lineari lungo l’asse stradale, togliendo dalla superficie le automobili dei residenti e restituendo spazio pubblico ai pedoni. In superficie si dovrebbe riqualificare l’architettura delle strade e potenziarne l’uso pedonale con il rifacimento delle pavimentazioni, un nuovo design dell’arredo urbano, l’uso sapiente del verde e dell’acqua, la creazione di luoghi di ristoro e di pausa. Questa operazione cambierebbe il volto della città, come non sarebbe possibile in nessun altro modo. Le vie consolari tornerebbero a essere la trama del tessuto urbano e ritroverebbero l’originario carattere di transito che nell’antichità costituiva l’annuncio della città per chi arrivava e il ricordo per chi partiva. Tale rinascita si può stimolare solo col tram, in quanto strumento in grado di agire contestualmente sui processi strutturali, funzionali e simbolici». 

Riassumendo, la sua idea per la mobilità definisce uno schema integrato con quattro passanti per ciascuna modalità di trasporto: ferroviaria, metropolitana e tranviaria. Quanto ritiene sia realizzabile questa proposta? Quali difficoltà attuative potrebbe incontrare?

«La mia idea potrebbe sembrare un disegno irrealistico che non tiene conto dei vincoli finanziari e attuativi. Non è così. Che si realizzi poco o tanto, le singole opere devono essere giustificate da un progetto più ambizioso che ne garantisca la coerenza spaziale e temporale. Le linee tranviarie e metropolitane devono essere integrate a larga scala, altrimenti non si ottiene l’effetto rete e, a parità di costi, diminuisce l’efficacia. Riguardo alle difficoltà dell’attuazione, la vera causa del problema risiede nell’aver smarrito la cultura del progetto che va ricostruita, innanzitutto svincolando la progettazione dal finanziamento. Oggi, infatti, si comincia a disegnare un’opera solo dopo aver ottenuto i fondi, accumulando già in partenza un ritardo che impedisce di bandire subito l’appalto, crea l’affanno dei soldi non spesi e devia l’attività di progettazione verso scorciatoie e semplificazioni. Le Amministrazioni dovrebbero invece progettare prima di ottenere i finanziamenti, dotandosi di progetti esecutivi, elaborati senza affanno, pronti per essere appaltati non appena si rendono disponibili i fondi. Occorre ricostruire un’intelligenza pubblica per guidare la trasformazione. Un’istituzione che non è in grado di progettare la città non potrà neppure intervenire per cambiarla».


I cookie rendono più facile per noi fornirti i nostri servizi. Con l'utilizzo dei nostri servizi ci autorizzi a utilizzare i cookie.
Maggiori informazioni Ok