Pedagogia e Architettura - La bellezza nella progettazione della scuola

di Sandy Attia, Matteo Scagnol

MoDusArchitects

Vi è sintonia tra la formazione, come obiettivo didattico-educativo della scuola, e la volontà di dare forma alla scuola quale traguardo dell’architettura. Di fatto per dare forma alla scuola è necessaria la volontà e la sinergia di molte figure, che ruotano intorno alla ricerca di un rapporto nuovo e prolifico tra architettura e pedagogia. 

Non si tratta quindi semplicemente di ragionare sulle scuole, ma soprattutto sull’idea che è un diritto di tutti volere belle scuole, attraverso un percorso comune che si soffermi sul bello nella scuola non come discorso astratto, ma come chiave per condensare le volontà comuni in un nuovo vocabolario che traduca le visioni e le aspirazioni. La sintonia tra pedagogia e architettura durante il processo che conduce alla realizzazione di un edificio scolastico è fondamentale per una scuola riuscita e durevole nel tempo, soprattutto oggi che il tema del rinnovo del patrimonio scolastico in Italia è all’ordine del giorno.

 La bellezza della scuola: lusso o fondamento?

In generale nel processo della progettazione della scuola, e anche quando parliamo del concorso di architettura, notiamo spesso un vuoto sul tema della bellezza. Sicuramente la mancanza di consenso sul concetto stesso di bellezza tende a negare la sua esistenza, e sembra frivolo introdurre tale tema in un consesso dove si discute di funzioni, ingressi, sostenibilità, durabilità e manutenzione dell’edificio. È difficile, anzi quasi criminale, immaginare “il bello” quando l’allarme sulla sicurezza nell’edilizia scolastica suona regolarmente e il crollo di un controsoffitto di un’aula richiede interventi di tutt’altro ordine. La frivolezza della bellezza di un edificio scolastico si accentua, poi, quando ci si confronta con i dirigenti scolastici sommersi sotto pile di burocrazia, sopraffatti da incontri di emergenza con docenti e genitori allarmati, e oppressi da ingenti responsabilità. Questi pesi rendono loro difficile trovare lo spazio mentale per sognare una scuola bella, pensando anche alle sue qualità estetiche. Si pone il tema della bellezza non come un lusso, ma come un fondamento importante intorno al quale tutti hanno la responsabilità di credere e immaginare per realizzare le nostre scuole in Italia.

Finora le scuole che abbiamo costruito sono il risultato di concorsi di realizzazione (non di idee) che sono un ottimo strumento per scegliere il progetto che risponde nel miglior modo alle esigenze e ai parametri della committenza. Il bando del concorso è il documento cardine che delinea con esattezza il contenuto e le coordinate del progetto: le varie funzioni, i dati dimensionali, gli aspetti tecnici e tecnologici, il quadro economico e, sempre di più, anche una visione della scuola che si completa con il pensiero pedagogico. Il coinvolgimento del dirigente nella redazione del brief concorsuale crea una base sulla quale costruire un consenso intorno al progetto ed è l’occasione per raccogliere e sistematizzare una specie di wish list su fondate giustificazioni pedagogiche. Certamente la scuola non è una semplice somma delle sue parti, ma con il disciplinare in mano, l’architetto può iniziare a dare forma alla scuola. La domanda che ci si pone è: dove sta “il bello” in questo percorso? Tra le richieste del bando è raro trovare quella di fare una bella scuola o che questo sia un aspetto determinante, perché appare ovvio che l’architetto è il delegato di questo aspetto, e che ogni architetto progetti una scuola cercando di farla bella, se non bellissima. Non importa capire ora cosa significa che essa sia bella, o chiedersi “bella per chi”. Di fatto quando vi è una domanda per un edificio scolastico, questa non include certamente il requisito della bellezza.

La bellezza dell’imperfezione

L’imperfezione appare difficilmente come obiettivo verso il quale tendere. Nel nostro lavoro, invece troviamo in ciò che è imperfetto un elemento di sintesi e che dà senso alle cose che facciamo. A cominciare dai nostri corpi, e in particolare osservando il nostro viso, la non esattezza, o - in termini geometrici - la mancanza di simmetria è ciò che conferisce il carattere, l’espressività e per di più, la bellezza al volto. Specchiando il viso simmetricamente il volto si trasforma in un’immagine inquietante, una brutta copia statica e senza anima, benché abbia una proporzione perfetta. Le piccole discrepanze e imperfezioni costituiscono un insieme di forme diverse (deformate) che donano l’espressione umana.

Di fatto, l’aspetto umano del non perfetto ci accompagna nel nostro pensiero architettonico e trova una profonda risonanza, non a caso, nella progettazione della scuola. Tenendo conto delle tendenze innovative in campo pedagogico, è sempre più evidente che la scuola non è più semplicemente una casa per apprendere, ma invece una casa per vivere; il vivere inteso in tutte le sue declinazioni ove l’aspetto umano e il fascino dell’incompiuto sono posti al centro. Non basta quindi la perfezione funzionale della machine à habiter a rispondere alla molteplicità e alla plurivalenza della scuola. L’architettura dà corpo e forma alla scuola attraverso un linguaggio espressivo, tutt’altro che strettamente funzionale; la razionalità e i dati dimensionali di un edificio scolastico sono chiamati a piegarsi, a deformarsi e a proporsi in nuove forme per un apprendimento vissuto appieno. Un’architettura che riflette la vita della scuola è un edificio che riesce a respirare e conferire bellezza agli spazi in cui le attività scolastiche hanno luogo.

Progetti di bellezza imperfetta

Le scuole da noi progettate aprono una finestra sul nostro percorso progettuale, dove il concetto del bello e del non perfetto sono sviluppati su diversi livelli - da quello più funzionale a quello più concettuale. Tutti i progetti qui presentati sono risultati di concorsi internazionali, due dei quali sono costruiti. Il primo progetto riguarda l’ampliamento di un istituto privato a Bonn, in Germania, indirizzato alla formazione delle persone che operano nel settore della cooperazione internazionale all’estero. Il secondo progetto descrive una ristrutturazione e un ampliamento di una scuola elementare a Ora, sempre nella Provincia di Bolzano, mentre il terzo progetto presenta un complesso scolastico ex-novo composto di due edifici costruiti al centro del nuovo quartiere “Firmian” a sud di Bolzano. Questi progetti sono stati scelti per offrire tre strutture molto differenti tra loro e indicano diversi modi possibili di interventi di edilizia scolastica con architetture tracciate da una bellezza imperfetta.

L’Istituto per la cooperazione internazionale a Bonn - Una architettura senza tempo

Il modello di scuola imperante fino agli anni recenti era la scuola gerarchica; l’aula quale cellula chiusa rispetto al resto con la lavagna, la cattedra e i banchi. La scuola oggi invece si sta evolvendo e sta assumendo forme nuove, quale luogo d’apprendimento non più fondato sulla rigida relazione asimmetrica insegnante-contenuti-alunni e non più chiuso nello spazio angusto dell’aula, ma aperto all’apprendimento in gruppi, con metodo informale, in movimento, disperso su tutto lo spazio scolastico. La call per l’istituto di Bonn testimonia questo cambiamento, descrivendo con un documento esaustivo i metodi di apprendimento che si perseguono nella struttura. In primis l’individuo e la conoscenza di se stesso sono il fondamento dell’istituto, ovvero conoscersi per aprirsi agli altri e poter veicolare il proprio essere. Solo attraverso questa profonda coscienza di sé, l’individuo può confrontarsi con gli altri in un dialogo aperto verso nuove conoscenze.

Nel campo dell’architettura, questa rottura degli schemi predeterminati nel campo pedagogico implica una scoperta degli spazi della scuola che non hanno a che fare con la rigidità dell’aula tradizionale. Richiede oltretutto una riflessione sul nuovo concetto di collettività, dove il gruppo diviene secondario, o subordinato, rispetto al singolo individuo. 

Il progetto parte proprio da questa “libertà dell’individuo” tradotta in libertà architettonica, richiamando volutamente elementi apparentemente “classici” dell’architettura per trasformarli in gesti e spazi espressivi e mutevoli. Gli archi, l’atrio centrale a tripla altezza, il passo strutturale regolare: sono tutti elementi classici dell’architettura, che vengono ricomposti e piegati alle nuove modalità di apprendimento. 

I grandi archi dell’edificio vogliono donare il senso dell’a-temporalità, di effimera leggerezza. Lo spazio fluttuante sotto gli archi si espande e si dilata all’interno. Lo spazio centrale su tutti i piani cancella il corridoio tradizionale e si trasforma in paesaggio di apprendimento sul quale si affacciano tutti gli ambienti con vetrate e porte scorrevoli. La trasparenza visiva e la contiguità tra gli spazi si bilancia con un passo strutturale sobrio, dando un giocoso contrappeso di gravità alla leggerezza.

Questi elementi sono gli ingredienti che modellano e danno forma alle richieste di una nuova pedagogia attraverso la trasfigurazione di un linguaggio classico, trasmutato in qualcosa di nuovo, qualcosa di bello per la scuola di oggi. Il linguaggio dell’architettura va quindi visto come uno strumento formidabile, capace di dare corpo alle nuove interpretazioni sulla didattica e l’apprendimento.

La scuola elementare di Ora: la bellezza nel rigenerare un edificio esistente

Progettare scuole non riguarda certamente solo nuove costruzioni. Il progetto per la ristrutturazione e l’ampliamento della scuola elementare di Ora vicino a Bolzano, una struttura “collodiana” di fine Ottocento, trasforma la solitudine della struttura scolastica in una dialettica teatrale con due nuovi personaggi - due figure poste sullo sfondo, che lo corteggiano spalleggiandolo mettendo in scena la sua rigenerazione.

Un semplice atto di accostamento, un innesto di due nuovi volumi rompe la perfetta simmetria della scuola esistente e mette in moto nuovi scenari didattici. La bellezza emerge dalla trasgressione della perfezione con una pianta dinamica che collega internamente gli edifici in un percorso contorto.

Il contributo del dirigente scolastico durante la progettazione della scuola è stato determinante nello sviluppo del progetto. A partire dalla sua visione precisa e approfondita sul futuro della scuola, l’approccio pedagogico e gli spazi della scuola sono stati progettati in stretto dialogo e sinergia. In primo luogo il guardaroba generale è collocato all’ingresso della scuola rendendo possibile una “scuola senza scarpe”, una scuola pulita. Di conseguenza, i bambini possono anche stare a terra e lavorare in gruppo in qualsiasi spazio della scuola, compresi i corridoi che tendenzialmente sono spazi sporchi e ostili all’apprendimento.

Le nicchie ricavate nei percorsi di collegamento, le vetrate e le porte scorrevoli tra aule adiacenti, sono strategie per mettere in atto soluzioni di trasparenza, leggerezza, intimità coerenti con le richieste della dirigente, che desiderava soluzioni morbide, sfumate, e soprattutto imprecise nella loro destinazione d’uso. Dare espressione all’intento dell’intera comunità di salvaguardare l’ippocastano monumentale nato insieme alla scuola, ci ha permesso di comunicare il valore del senso di identità con un intervento sulle facciate, che vengono in parte cinte da enormi foglie bianche, cifra dell’edificio ed elemento simbolico di un legame profondo con la storia e la sua bellezza.

Il polo scolastico di Firmian, a Bolzano: la bellezza nelle periferie

Negli ultimi anni le scuole stanno diventando un punto di riferimento nelle periferie. Noi abbiamo avuto l’occasione di sperimentarlo con un progetto in una zona periferica a sud di Bolzano, dove la città incontra la campagna, e dove sorge un nuovo quartiere. Il piano d’attuazione prevedeva che nel cuore del quartiere sorgesse un polo scolastico; il cuore del quartiere erano quindi le scuole con una piazza, ovvero al centro dell’interesse comune è posta l’educazione. Nel concorso da noi vinto invece di progettare un complesso unitario e delineato da forme e aspetti omogenei abbiamo presentato due edifici distinti, in un dialogo contrapposto.

Un edificio curvilineo, molle, che ospita tre strutture: l’asilo nido, una scuola dell’infanzia e un centro famiglie, il secondo lineare, duro, con scuola elementare e media, biblioteca di quartiere e altre funzioni a utilizzo extrascolastico quali la mensa, l’aula magna e la palestra.

La forma del polo per l’infanzia si sviluppa con un andamento libero in una sequenza di parti concave e convesse che stabiliscono una forte relazione con il parco antistante. All’interno il volume è reso cavo dalla presenza di tre corti allungate a forma di lente che lo attraversano suddividendo le due strutture. Queste permeabilità nascoste all’interno del polo per l’infanzia vengono messe in risalto nella scuola elementare. Le vetrate continue al piano terra trasformano l’edificio in una soglia tra la città e la campagna. Il ruolo culturale delle scuole all’interno della società esige delle soluzioni di grande respiro in cui la bellezza non è un dettaglio, ma forse un modo per conferire dignità a luoghi ancora senza forme.

Le forme della bellezza a scuola

La parola forma evidenzia la contiguità tra il mondo dell’architettura e il mondo della pedagogia: forma, formazione, informare, informale, e formalità… In fondo, una scuola dalle belle forme e con un bel progetto formativo è il sogno di tutti noi. La bellezza di un progetto per la scuola, a nostro avviso, sta nella casualità di ciò che chiamiamo umano e trova sintesi nella deformazione ovvero nell’imperfezione che lo rende ricettivo al mondo. Proponiamo dunque uno scambio continuo e dinamico tra pedagogia e architettura per scardinarne le formalità (intese come rigidità) e per aprirsi alla re-immaginazione della scuola. 

Tutte le immagini courtesy MoDusArchitects


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