Paesaggi

Nel sentire comune la città di Roma tende a evocare le immagini del Colosseo e dei Fori Imperiali, delle meraviglie urbanistiche e dei reperti archeologici conosciuti in tutto il mondo. C’è tuttavia un’altra Roma, meno menzionata ma di grande interesse, quella delle periferie, dei territori periurbani e dei loro paesaggi.Quella che oggi si avvia a essere una metropoli moderna ha una superficie di 1.290 kmq di cui 800 non edificati. La città storica occupa 150 kmq, il resto è periferia periurbana: 350 kmq di edificazione caotica e in larga misura sorta spontaneamente. Si calcola che il 40% del territorio urbanizzato, dove risiede circa il 25% della popolazione della Capitale, sia abusivo e degradato. Nel panorama della Roma contemporanea le periferie hanno un peso particolare, su questi territori si gioca il futuro e la qualità di una Città metropolitana il cui processo di formazione avanza faticosamente. Sono paesaggi ibridi. Paesaggi della differenza, dove grandi aree naturali e agricole sono punteggiate di tracce del passato, infrastrutture, ruderi e archeologie, fagocitati da un’espansione edilizia inarrestabile e poco controllata. Una periferia la cui fisionomia si carica oggi di nuovi significati nei quali la dicotomia città/campagna appare superata e inadatta a definire il paesaggio periurbano, un’area molto vasta che abbraccia non solo la porzione esterna al Grande Raccordo Anulare, ma anche il litorale romano, le zone alle pendici dei Castelli romani, parte della valle del Tevere, fino a zone limitrofe al lago di Bracciano. Aree vaste e complesse, cresciute rapidamente a partire dagli anni Settanta tra il movimento per il diritto alla casa e le ondate speculative, un cantiere aperto per lo sfruttamento senza limiti del territorio. Oltre a essere uno spazio fisico, il paesaggio periurbano è anche un tema di particolare attualità, soprattutto per quanto concerne la sua gestione e rigenerazione: due tematiche che interessano e coinvolgono più soggetti, amministratori, architetti, cittadini che ne abitano i territori mal collegati, privi di infrastrutture, reti efficienti e servizi pubblici, nei quali può bastare una pioggia più intensa del normale per finire sott’acqua. Come intervenire in questi luoghi? Quali strategie per la rigenerazione urbana e per l’innesco di nuovi cicli di vita in aree spesso degradate? È possibile un processo di sostituzione urbana nel quale i tessuti disgregati possano essere rinnovati mediante una nuova edificazione coerente e sostenibile? O, al contrario, quali strategie si possono attivare per una modificazione progressiva dell’esistente che ne trasformi l’assetto urbano a partire dalle loro vocazioni e potenzialità? È possibile una riqualificazione come quella immaginata dal senatore a vita Renzo Piano, promotore delle periferie “rammendate”? L’architetto genovese è certo del potere intrinseco e della capacità di questi luoghi di essere un volano per fare ripartire l’economia del paese, sicuro che in ognuno di essi ci sia “un bagliore, un angolo di bellezza” come nelle Città invisibili di calviniana memoria. Per meglio comprendere il quadro attuale della condizione periurbana di Roma è necessario fare un salto nel passato, fino al 1993, anno in cui furono istituiti i Programmi di Recupero Urbano (PRU), i famosi Articoli 11 della Legge 493. Questo progetto di risanamento periferico avrebbe dovuto coinvolgere nove Municipi per undici piani di intervento territoriale, tra cui San Basilio, Tor Bella Monaca, Corviale e Magliana. Tuttavia “la macchina amministrativa di Roma” è rimasta ingolfata e incapace di muoversi con rapidità e slancio verso un futuro (oggi, presente) migliore e chi ha pagato questo stallo sono stati i cittadini, troppo spesso rimasti con tante speranze disattese. I PRU prevedevano una serie di azioni congiunte fra privati e pubblica amministrazione, mirate al recupero di aree periferiche mediante la realizzazione di interventi puntuali a prevalenza residenziale, nuovi caposaldi qualitativi in un panorama di abusivismo, degrado ambientale, carenza di servizi e congestionamento del traffico veicolare. Insieme alla residenza, mediante gli oneri concessori e i contributi straordinari dei costruttori, si sarebbero potuti realizzare i servizi pubblici, i parchi attrezzati, le strade e le reti dei sottoservizi di cui le periferie hanno cronica carenza. Lungaggini burocratiche, lentezza e ostacoli negli iter di approvazione dei progetti e, dal 2008, la crisi del mercato immobiliare hanno compromesso pesantemente molte iniziative. Per capire il perché di uno scenario tutt’altro che positivo a ciò va aggiunto lo scarso o nullo controllo pubblico sulla qualità degli interventi e la poca fermezza nell’imporre ai costruttori la realizzazione delle opere convenzionate. La ragnatela di complicazioni burocratiche insorte ha immobilizzato molti quartieri che si sono ritrovati in un teatro dell’assurdo come i personaggi Vladimir ed Estragone di Aspettando Godot. Oggi la situazione sembra prendere una piega positiva grazie all’intervento degli Assessorati allo Sviluppo delle Periferie e alla Trasformazione Urbana. I faldoni impolverati sono stati riaperti nell’intento di riformulare, anche con lo studio di un nuovo protocollo di convenzione urbanistica pubblico/privato, gli aspetti tecnico-economici dei vari piani, ridefinendo la scala di importanza per la loro l’attuazione. In quest’ottica, chi ha avuto un ruolo essenziale sono le Amministrazioni municipali. In collaborazione con Regione Lazio e Ater, queste hanno contribuito allo studio di una manovra complessiva strutturata secondo progetti per la ripartenza socio-economica delle zone periurbane, la quale ha permesso di riattivare in tutto 110 milioni di euro di cofinanziamento Regione-Roma Capitale che erano a rischio di revoca. Il primo progetto, pronto a partire dall’estate 2015, dovrebbe essere quello presentato presso il X Municipio, il Programma di Recupero Urbano di Acilia-Dragona, siglato con Accordo di Programma del 2005 e inquadrato all’interno di una strategia di rilancio infrastrutturale del territorio Ostia-Acilia. Grazie a questo intervento, che prevede cinque opere prioritarie per le quali sono stati destinati 18,5 milioni di euro, come afferma l’assessore allo Sviluppo delle Periferie Paolo Masini, “si rilancia lo sviluppo in un quadrante molto importante di Roma, aiutando a colmare il gap infrastrutturale e a dare una risposta concreta alle esigenze dei cittadini”. Acilia e Dragona sono solo una delle difficili realtà del territorio compreso fra l’EUR e il mare dove si gioca forse la scommessa più importante per la Roma del futuro. È in queste aree che, assecondando le indicazioni di Mussolini, la scomparsa Variante del ’42 al PRG del ‘31 individuava lo sviluppo lineare della città. A causa delle vicissitudini belliche, il Piano di Piacentini e Giovannoni è andato perduto ma le sue previsioni si sono avverate, anche se in larga misura in modo spontaneo e scomposto. Lungo il corso del Tevere, in queste aree recuperate all’impaludamento dalla bonifica di fine ‘800, si alternano tessuti abusivi e di qualità, grandi ambiti agricoli e aree naturali di riserva, grandi infrastrutture come l’aeroporto e il previsto nuovo porto di Roma e immensi patrimoni archeologici sottoutilizzati come quello di Ostia Antica. La vastità della sua area di 70 ettari e la qualità dei reperti presenti al suo interno ne fanno un luogo di elevate potenzialità inespresse. Insieme allo straordinario sito di Portus, quello di Ostia Antica potrebbe rappresentare uno dei poli archeologici più importanti del mondo, coinvolgendo in un’operazione di recupero virtuoso anche parte dell’Isola Sacra, anch’essa ricchissima di aree archeologiche di grande importanza. Se Ostia Antica è una realtà trascurata, non è da meno il litorale romano, in particolare dal punto di vista naturalistico. Questa “lingua di terra” si caratterizza per la presenza di aree alberate che, dal 1996, sono state identificate e riconosciute come Riserva Naturale Statale “Litorale romano”. Si tratta di circa 15.900 ettari ripartiti tra i comuni di Roma e Fiumicino, un’area che coinvolge non solo Ostia ma anche altre località, come Passoscuro, Fregene e Focene. Sorta per preservare dune costiere, pinete secolari, zone di macchia mediterranea e ambienti umidi e fluviali, la Riserva è attualmente penalizzata dallo stato di abbandono e disinteresse sia nei riguardi delle aree naturali sia di quelle agricole. Le conseguenze della mancanza di un piano di gestione (ancora in fase di approvazione) rischiano di avallare comportamenti illeciti e incoraggiare abusi e inadempienze. Un quadro non positivo nel quale tuttavia, nel 2009, i cittadini hanno ottenuto uno stanziamento di 300.000 euro per la bonifica dell’area e la lotta all’abusivismo. Nel mese di settembre 2014, il X Municipio si è attivato per la creazione di una Smart community. Il progetto, chiamato “Ostia Enhancement”, interessa il sistema territoriale di Ostia Lido, la pineta, il Tevere e gli scavi archeologici di Ostia Antica, e è finalizzato al rilancio del territorio. Riconoscendo e sfruttando le risorse in essere, l’idea è di intraprendere un ventaglio di azioni in un’ottica di sviluppo sostenibile, una serie di interventi mirati alla produzione di energia rinnovabile e alla riduzione dei gas serra, per un miglioramento tangibile dei servizi integrati e per la mobilità alternativa. Una sfida eco-friendly e hi-tech, con l’obiettivo di fondo di connettere il patrimonio ambientale e culturale, diffuso e mai valorizzato, rendendolo fruibile in modo adeguato. Se realizzato con criterio, questo intervento potrebbe dare il via a una graduale e progressiva rivalutazione dell’area periurbana e marittima. Roma e Ostia sono collegate dalla ferrovia Roma-Lido, la quale percorre i 20 km che le separano in circa 20 minuti. Una distanza veramente esigua che rende la Capitale una inafferrabile città sul mare e potenzialmente una grande attrattiva turistica. Secondo il Nuovo Piano Regolatore la sfida dei paesaggi periurbani si risolverà ancora una volta nella costruzione di una nuova città, nella creazione di polarità periferiche in grado di generare gerarchie e ambiti di interesse nella nostra campagna urbana diffusa e disgregata. Questa volta però, rispetto agli Articoli 11, gli ambiti di intervento sono molto più grandi, di solito oltre cento ettari ciascuno. Le diciotto Centralità urbane e metropolitane previste dal NPRG hanno lo scopo di realizzare nelle periferie “Poli universitari, centri direzionali pubblici, spazi fieristici, centri con funzioni turistiche, ricettive e ricreative, tutte lontane dal centro, tutte servite dal trasporto pubblico su ferro, tutte qualificate da funzioni pregiate[…] Un sistema policentrico che pone le basi per lo sviluppo autonomo dei futuri municipi metropolitani e per la valorizzazione delle risorse locali esistenti”. Finora tuttavia la realizzazione delle Centralità si è rivelata l’ennesimo affare d’oro per i costruttori, veri pianificatori della città, e per i gestori degli enormi centri commerciali che ne costituiscono il baricentro (vedi Roma Est, Porta di Roma…). Anche in questi casi gli accordi (di programma?), le convenzioni e i metri cubi rischiano di prendere il sopravvento sulla cosa pubblica, di cui il paesaggio periurbano di Roma è l’immagine sotto gli occhi di tutti. Non sarà che forse è proprio sulla vocazione originaria, sulla campagna e sull’Agro, che bisogna puntare per fare del nostro paesaggio periurbano un paesaggio di qualità? 

Franco Ferrarotti: Roma, un organismo policentrico

Franco Ferrarotti Intellettuale e sociologo italiano Professore Emerito alla Sapienza già Deputato della Repubblica Italiana (© Simone Lupo Bagnacani)

“La critico ferocemente, vado spesso all’estero, ma alla fine torno sempre qui, Roma per me è come la bottiglia per un avvinazzato”. È la dichiarazione d’amore poco ortodossa, ma forse per questo ancora più sincera, di un piemontese che ha vissuto in tutto il mondo ma ha scelto questo angolo caotico e confusionario come sua casa di elezione. Si tratta di Franco Ferrarotti, più che un professore il fondatore della sociologia italiana, che, a 88 anni, non smette di scrivere e insegnare. L’autore di “Roma madre matrigna”, collaboratore di Adriano Olivetti e ultima persona con cui ha parlato prima di morire, ci riceve intorno a un tavolo ingombro di carte e libri e ci racconta cosa rende la città così irresistibile e cosa vede nel suo futuro, interrotto solo dal postino che consegna altri volumi.

A cosa è dovuto questo effetto magnetico?

Dopo cinquant’anni che la studio devo dire che Roma ha mantenuto una caratteristica unica tra le capitali mondiali: solo qui avvertiamo in maniera esistenziale la convivenza quasi simbiotica tra storico e vissuto. A Barcellona il Barrio Gotico è una cartolina illustrata separata dalla città mentre nel centro storico dell’Urbe, e non solo, si passa dalle rovine del passato imperiale al quotidiano, non c’è separazione. Roma vive la storia come un affare di famiglia, un’esperienza che non ha tempo, un immenso presente. In questo senso costituisce l’eternità dell’effimero. La città vive questa situazione con distrazione e allegria, una sublime stolta inconsapevolezza, è una contraddizione che viene così da lontano che è sentita come normalità. 

Questo non potrebbe anche averla allontanata dalla modernità?
Roma oggi è una via di mezzo tra una metropoli moderna e un insieme di paesi e villaggi, più o meno ben collegati, che sono i suoi quartieri, in questo senso però rischia di trovarsi decrepita prima di essere matura. Una capitale dovrebbe essere infatti un centro urbano in grado di cogliere gli impulsi della nazione e tradurli al di là delle peculiarità in un discorso mediamente comprensibile, garanzia di una lucidità condivisa. Invece l’Italia resta un arcipelago di culture.

Cosa vorrebbe per il futuro di questa città?
Vorrei che riuscisse a mantenere questa sua qualità, tenere insieme storico e quotidiano, ma allo stesso tempo a stabilire rapporti più rapidi, efficienti e sanguinei tra i rioni, i quartieri e i sobborghi che la compongono. Ora però soffre di colesterolo molto alto, è il traffico che la blocca. Inoltre la relativa inefficienza del sistema di trasporto pubblico pone anche un problema di classe: chi è costretto a prendere sempre un autobus stipato è di fatto un cittadino di serie B, il giovane avrà lo scooter e il benestante l’automobile, nonostante il grave problema dei parcheggi. Altre capitali hanno risolto il problema con le metropolitane che qui aiuterebbero a collegare quartieri che ora sono spesso chiusi in se stessi, ma la costruzione si blocca proprio per i ritrovati archeologici, un grande passato che inceppa il futuro, speriamo che almeno la metro C sia finita presto. 

Cosa si può fare per avere trasporti più efficienti?
Non esiste una ricetta. Un fattore che complica ancora di più la vita è il fatto di essere una doppia capitale, da un lato lo Stato italiano e, dall’altro, il Vaticano, con ad esempio anche le doppie ambasciate. C’è poi da considerare che ogni multinazionale ha qui le sue sedi perché deve interagire con i ministeri. è un po’ come l’Albatros di Baudelaire “le sue ali di gigante gli impediscono di camminare”. 

Cosa pensa dell’azione della Giunta?
Sono stati fatti tentativi positivi, che non possono però essere limitati solo a divieti e Ztl, queste misure positive devono muoversi nel senso di considerare la natura del nuovo aggregato urbano policentrico. Il centro è allo stremo per problemi di respirazione, sono molto preoccupato, credo che così si salverebbe dall’auto-soffocamento, anche se non vorrei fosse trasformato in acquario per turisti. Questo è quello che mi turba in alcune decisioni di Marino: bisogna salvare la coesistenza tra storia e vita, come nel Rione Monti, la vecchia Suburra. 

Ha parlato di colesterolo e respirazione difficile, come curerebbe queste malattie?
Con poteri dittatoriali, invece degli sventramenti fascisti sposterei gli uffici del Governo, i ministeri e le sedi commerciali fuori dal centro, tranne il Parlamento. Non li metterei nel deserto ma costruirei un aggregato policentrico in modo che gli stessi ministeriali abbiano ampi spazi per parcheggiare e ristoranti per mangiare. è un’idea olivettiana, Governo e comunità legate come fabbrica e comunità. Vorrei anche riscoprire la natura produttiva della città, che non sia solo un centro burocratico.

Questo sarebbe un modo anche per riqualificare le periferie?
Renzo Piano diceva che bisognava rimodellare le borgate, io dissento perché ho visto che la periferia oggi non è più periferica, ci vivono circa un terzo dei 2,8 milioni di abitanti di Roma, se si fermasse si fermerebbe la città. Quindi non è questione di gentrificare o rimodellare, la periferia va ripensata, alla luce della sua funzione, è parte integrante e sostanziale del tessuto urbano: non basta rifare la nomenclatura e fare gli allacciamenti. L’avvenire di Roma è rendere funzionale la sua frangia urbana e capire la natura policentrica del nuovo aggregato urbano. 

Lei è stato parlamentare ma non si è ricandidato per il “tanfo” della corruzione, com’è la situazione ora?
La corruzione è un fenomeno universale ma in Italia è atipica: mentre in molti paesi è contenuta in un limite tra il 5 e il 10% del valore delle opere pubbliche, in Italia purtroppo è calcolabile intorno al 30/35%. C’è poi un fatto italiano unico: spesso non viene consegnato il manufatto, come accaduto con la Salerno-Reggio Calabria. In Italia inoltre anche le persone non corrotte giocano con la corruzione perché le persone corrotte sono più malleabili e ricattabili. Purtroppo faremo sempre i conti con questa piaga, la giustizia non aiuta, ha tempi biblici e oltre 150 mila leggi che aumentano le occasioni di corruzione: è necessario semplificare e dare una stretta sull’operato e i tempi della magistratura. Sugli appalti però ci sono dei segnali positivi, andrebbero concepiti in termini di costo e data di consegna con grandi penalità in caso di ritardo. 

Il rischio idrogeologico cresce ovunque, perché?
C’è una grande responsabilità amministrativa, non c’è tombino che non rigurgiti anche con pioggia modesta, è venuto meno il senso della manutenzione e si è costruito in luoghi inauditi, lungo torrenti e canali, nelle vecchie aree di sfogo dei fiumi. Oggi però architetti, urbanisti e geologi hanno una responsabilità politica primaria rispetto all’uso razionale del territorio, per esempio portare le fabbriche lontano dalle città, e della sua sicurezza perché è in condizione di fragilità grave ed endemica.


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