Editoriale

Il n° 111 di AR arriva oggi agli iscritti all’Ordine degli Architetti di Roma in una veste editoriale completamente rinnovata. Il nostro Consiglio ha infatti voluto rilanciare l’immagine e soprattutto i contenuti della rivista, nella convinzione che, in un momento di grandi difficoltà per il nostro mestiere, sia molto importante dare un segnale di fiducia a tutti noi, oltre che all’esterno. Il nostro lavoro, nonostante la crisi, continua a essere molto apprezzato sia in Italia sia all’estero. Gli edifici di qualità che vengono, nonostante tutto, da noi realizzati sono molti di più di quanto ci si aspetterebbe. Roma continua a essere fra le città più note, amate e visitate al mondo, anche e soprattutto per la sua architettura, sia storica sia contemporanea. La capitale detiene una eccezionale riconoscibilità globale ed è sinonimo di uno stile di vita segnato da livelli culturali e creativi difficilmente riscontrabili altrove, continuando, in particolare, a costituire un importante crocevia per la cultura architettonica: lo testimonia, fra l’altro, il gran numero di università, accademie e istituzioni straniere che vi operano. Ma la nostra produzione appare spesso meno pubblicizzata di quanto meriterebbe: l’assenza nel centro Italia di una consolidata editoria di settore ci ha, in diversi casi, ingiustamente penalizzato. Siamo anche persuasi che veicolare in maniera convincente l’immagine della nostra città e delle sue architetture, fra i tanti possibili modi per uscire dalla crisi e riaffermare le nostre capacità professionali, sia uno dei più diretti e significativi: dobbiamo far conoscere, in Italia e all’estero, la nostra migliore produzione nel campo delle nuove edificazioni, del restauro, degli interni e del design, come dobbiamo comunicare l’intensa attività culturale, espositiva, pubblicistica e di ricerca che si svolge a Roma in generale e presso il nostro Ordine in particolare. Ma la nuova AR nasce anche con l’ambizione di costituire un luogo privilegiato del dibattito sull’architettura e sulla città: pubbliche amministrazioni, costruttori, investitori e progettisti sono chiamati tutti a partecipare alla discussione e a lavorare insieme per migliorare lo stato delle cose. I confini della Città metropolitana coincidono con quelli del nostro ambito provinciale di competenza. Qual è il progetto per questa nuova, estesa entità territoriale che comprende paesaggi, infrastrutture, aree archeologiche, parchi, centri storici, monumenti e pezzi di città moderna fra i più apprezzati al mondo, ma che è anche purtroppo gravata da problemi e situazioni non certo facili da risolvere e gestire? Siamo preparati ad affrontare le sfide dell’innovazione, della modificazione, dell’adeguamento, in una parola della rigenerazione di un patrimonio costruito così vasto e importante? Vorremmo insomma che la nuova AR accompagnasse una intera classe professionale in una fase di radicale e sostanziale rivoluzione della nostra attività. Le nuove regole del mestiere, la crescente innovazione tecnologica e i maggiori livelli di interazione che si sono configurati in questi ultimi anni costituiscono una sfida difficilissima da raccogliere e giocare in maniera competitiva. Vorremmo dunque che AR aiutasse a reagire alla sfide della complessità contemporanea e a comprendere i molti elementi di differenza che ci separano da un passato anche recente. Per entrare nel merito, sono almeno tre i punti che consideriamo particolarmente importanti e sui quali AR dovrà molto impegnarsi: l’apertura ai nuovi orizzonti globali, la rigenerazione urbana sostenibile del patrimonio costruito della nostra Città metropolitana, il generalizzato adeguamento al BIM, Building Information Modeling. Il primo, l’ampliamento dell’orizzonte antropo-geografico del nostro mestiere, parte dalla constatazione che esso è ormai molto diverso da quello tradizionale di riferimento che è stato valido fino a, più o meno, tutto il secolo scorso. La globalizzazione sembra aver bruscamente spostato il baricentro della scena architettonica, almeno relativamente alla produzione se non alla progettazione, alle aree del mondo maggiormente in via di sviluppo. Ma la gran parte della progettualità più qualificata continua a essere localizzata proprio da noi. Ed è proprio da noi che si continua, oltre che a esportare progettualmente, anche a realizzare la migliore architettura al mondo, ancorché non necessariamente la più spettacolare. La progettualità romana è sufficientemente nota e apprezzata per poter competere seriamente su tali nuovi mercati. Ma è indispensabile attrezzarci per rispondere all’inedito protagonismo delle grandi società di progettazione che hanno attuato una effettiva globalizzazione della pratica architettonica oltre che una sensibile accelerazione dei tempi di progettazione e realizzazione, pressione che non ha aiutato la riflessione critica né la sedimentazione delle tecniche costruttive. Nei confronti di tali società siamo purtroppo meno competitivi: l’attività professionale prevede oggi livelli di complessità impensabili fino a solo qualche decennio fa (peraltro difficilmente simulabili all’interno delle scuole di architettura). Il progetto contemporaneo è frutto di un lavoro interdisciplinare estremamente articolato, portato avanti da gruppi molto numerosi dalle competenze prevalentemente tecnologico-manageriali, che includono protagonisti del real estate, esperti di marketing, cost-controller, strutturisti e impiantisti, produttori di materiali edili ecc. All’interno di una scena così affollata, l’architetto oscilla fra un ruolo (nei fatti, piuttosto raro) di coordinamento, compito estremamente impegnativo che garantisce un certo livello di centralità, e un ruolo invece assolutamente marginale (purtroppo più frequente), ridotto cioè a quello di produttore di immagini funzionali solo alla promozione commerciale dell’edificio, con la complice presenza di qualche superficiale forma di greenwashing o di più o meno ingenuamente esibite preoccupazioni ambientaliste. Dobbiamo dunque aggiornarci e reinventarci in tal senso per riconquistare competitività e centralità: AR dovrà aiutarci a farlo. Il tema della sostenibilità, secondo elemento di differenza dal nostro passato recente, appare, come s’è appena anticipato, più ostentato a parole che esperito nei fatti, al punto da sembrare ad alcuni critici utile soltanto a nascondere, o almeno a mitigare, la sostanziale mancanza di idee. Il prefisso “eco”, abusatissimo, appare soprattutto utilizzato con finalità di comunicazione commerciale. Con la possibile eccezione di alcuni Paesi particolarmente sensibili, non ha avuto, almeno non da noi, gli esiti concreti che si speravano. Eppure si tratta di un tema fondamentale, sul quale è necessario impegnarsi a tutti i livelli con la massima serietà. La questione assume poi ancora maggiore importanza se inquadrata dal punto di vista delle politiche d’intervento alla scala urbana: la rigenerazione urbana sostenibile, che non prevede ulteriore consumo di suolo ma che punta al retrofitting dell’esistente, cioè al suo adeguamento dal punto di vista dell’efficienza energetica, dell’accessibilità, della sicurezza (anche sismica), oltre che a un più ampio orizzonte socio-culturale, è il tema progettuale che più di ogni altro appare oggi ragionevole portare avanti, in Italia in generale (lo testimoniano le politiche messe in atto del nostro Consiglio Nazionale) e in una città come Roma, in particolare, in cui la crescita demografica è limitata e le condizioni di sviluppo relativamente buone. Dobbiamo lavorare insieme, su questa rivista, per giungere a una generalizzata maturazione della progettualità, giustamente sempre meno appassionata a questioni formali e sempre più concretamente impegnata sui temi del risparmio energetico. A tale ambito è collegato quello delle case e degli edifici smart o intelligenti, in cui cioè l’apporto del digitale non incide tanto sulle forme architettoniche quanto piuttosto sul funzionamento dell’edificio. Dobbiamo impegnarci - e AR dovrà adoperarsi in tal senso - perché ciò che oggi viene definto smart diventi standard nella nostra città. Il terzo elemento di differenza, specificamente legato alla sfera della progettazione digitale, è infine il BIM: un metodo di lavoro che, con l’impiego di software che stanno assumendo importanza crescente all’interno dei processi di progettazione, realizzazione, gestione e manutenzione dell’edificio, consente ad architetti, strutturisti, impiantisti, paesaggisti, costruttori ecc. di condividere l’intero progetto in maniera informatizzata e dialogare facilmente, evitando errori, sovrapposizioni e interferenze. In alcuni Paesi, come gli Stati Uniti o il Regno Unito, il BIM ha raggiunto grande diffusione ed è stato, già da alcuni anni, introdotto prima e reso gradualmente obbligatorio poi a seconda del tipo di committenza e dell’impegno economico richiesto. Anche in questo caso, con l’aiuto della nostra rivista, dobbiamo impegnarci per la diffusione di un approccio alla modellazione architettonica sostanzialmente nuovo e diverso rispetto a ciò che avveniva in passato, un approccio in grado di gestire, simultaneamente e in maniera coerente, diversi livelli di iconicità con una perfetta integrazione fra rappresentazioni bidimensionali e tridimensionali, la relativa quantificazione di superfici e volumi, le specifiche tecniche esecutive, i cronoprogrammi nonché i cosiddetti as built, i grafici che registrano l’effettiva configurazione finale dell’edificio e le sue successive modificazioni, integrando le tre dimensioni dello spazio architettonico con le variabili legate ai tempi e ai costi di realizzazione e gestione. Potremmo continuare a lungo con ulteriori, possibili esempi. Ma non è questo il punto. Ciò che davvero conta, per giungere almeno provvisoriamente a una conclusione, è che AR, a partire proprio da questo numero inaugurale della sua nuova serie, possa concretamente aiutarci a cambiare, in meglio, il nostro lavoro. 


Livio Sacchi


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