GRADO ZERO, DINAMICA CULTURALE, ARCHITETTURA - di Marco Maria Sambo

Con AR MAGAZINE 120 tentiamo di analizzare il pensiero di Bruno Zevi attraverso un linguaggio aperto e multidisciplinare, studiando il suo contributo nella storia dell’architettura del ventesimo secolo. Vogliamo analizzare l’eredità culturale di Zevi, la sua attualità critica. Dal celebre libro Saper vedere l’architettura pubblicato da Einaudi nel 1948 fino al convegno di Modena del settembre 1997 intitolato “Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura”, l’azione culturale e operativa di Bruno Zevi risulta viva e multiforme nel corso della lunga attività di architetto, storico e critico militante. Le sue idee prefigurano scenari urbani e architettonici. Le sue riflessioni, ancora attuali, permettono di comprendere i linguaggi del contemporaneo e ci aiutano a ragionare sul nostro futuro. Partiamo dallo spazio. Il libro Saper vedere l’architettura ha un sottotitolo significativo: “Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura”.

Dunque Bruno Zevi rileva - nel 1948 - che lo studio dell’architettura è sostanzialmente un’esperienza spaziale. “Lo spazio, protagonista dell’architettura”, in questo modo si intitola il secondo capitolo. “La rappresentazione dello spazio”, così viene intitolato il terzo capitolo. “Le diverse età dello spazio”, il capitolo quarto. Si tratta di una continua educazione allo spazio che caratterizza la sua scrittura: curiosa, brillante, vivace. Un approccio culturalmente dinamico e multiforme che vuole confrontare i frammenti linguistici disseminati nel corso della storia. Una visione culturale che si trasforma in attitudine critica caleidoscopica: l’architettura può essere studiata attraverso la scrittura, le cronache del contemporaneo, il linguaggio fotografico e cinematografico, la critica militante, la politica, l’urbanistica, l’editoria, la comunicazione sui giornali e sulle televisioni. Un universo improvvisamente colorato, in perenne movimento, dove la dinamica della forma accompagna la dinamica culturale, costante nel tempo e nello spazio. Questo caleidoscopio abbatte l’essenza di un’accademia ingessata e, attraverso la creazione di una controstoria dell’architettura, progetta un nuovo orizzonte lanciando oltre l’ostacolo frammenti di futuro. Un modus operandi in continuo movimento che rifugge dalla cultura monolitica della critica ideologica e che approda alla fine, nel 1997, a una riflessione fondamentale sulla libertà in occasione del convegno di Modena, nel quale Bruno Zevi elabora il concetto di “grado zero dell’architettura”. Dice Zevi a Modena, nel suo intervento intitolato Paesaggistica e grado zero della scrittura architettonica: “Come estendere tutte le conquiste dell’avanguardia? Una risposta la fornisce Roland Barthes, il teorico del ‘grado zero’, che precisa: «Nello sforzo di liberazione dal linguaggio letterario, ecco un’altra soluzione: creare una scrittura bianca, svincolata da ogni servitù ... La scrittura di grado zero è in fondo una scrittura indicativa, se si vuole amodale ...

Si tratta di superare la Letteratura (con la elle maiuscola) affidandosi ad una lingua basica ... Allora lo strumento non è più al servizio di un’ideologia, è la maniera di esistere del silenzio ... Se la scrittura è veramente neutra, la Letteratura è vinta». Possiamo traslare [continua Zevi, nda]: se la scrittura architettonica è veramente neutra, l’architettura del potere, classica, autoritaria, accademica, postmoderna, è vinta”.

(Bruno Zevi, Paesaggistica e grado zero della scrittura architettonica, Modena, 1997 – pubblicato in L’architettura. Cronache e storia, Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura, anno XLIII, n.503/6, p. 382 – Numero speciale, quadruplo, dedicato al convegno di Modena)

Quindi il pensiero zeviano è indissolubilmente legato al linguaggio di una nuova scrittura architettonica che costruisce nuove estetiche. Si tratta - de facto - di un pensiero politico che nell’ultima parte della sua esperienza militante assurge alla scrittura del grado zero, distruggendo i luoghi comuni e gli autoritarismi di un’accademia che in quegli anni faceva fatica a rinnovarsi. Un nuovo modo di vedere il domani che deriva dalle riflessioni sui linguaggi del contemporaneo, sulla poetica della frammentazione, sulla libertà della funzione che si svincola dalle gabbie del passato. In sostanza, l’ultima parte della critica zeviana è ancora viva, attuale, rappresenta l’essenza del suo ricco percorso intellettuale. Il convegno di Modena è un manifesto culturale e politico alla ricerca degli architetti che “hanno strutturato un linguaggio che consente lo scambio intenso e fluido tra il messaggio irripetibile del genio e gli apporti democratici e popolari”. (Ibidem, p. 378)

Quella di Bruno Zevi è una ricerca che vuole operare un continuo confronto linguistico. Per questo cita Roland Barthes (critico letterario, linguista e semiologo francese), per approdare al grado zero e rimettere in discussione tutto, per giungere alla modernità che trasforma la crisi in valore. Continua Zevi a Modena, creando un’originale formula di critica matematica applicata all’architettura: “Approdiamo così al tema della paesaggistica.

Urbanistica = Mondrian

Paesaggistica = Pollock

[...] Non solo lo zoning, ma tutta la metodologia del piano urbanistico è in crisi, poiché l’architettura di ’grado zero’ preme, batte infuriata, chiede e pretende libertà, non sopporta più di essere incasellata, coartata, stretta entro confini”. (Ibidem, p. 394)

E continua parlando di urbatettura: “Lo iato fra architettura e urbanistica è stato da tempo colmato mediante il concetto di ‘urbatettura’, ma questo serve scarsamente se non si effettua il trapasso di scala alla paesaggistica, all’impegno creativo sul territorio. [...] La nuova progettualità territoriale non può appagarsi di un’autoproclamazione; deve trovare i suoi agganci legislativi e operativi. Forse non poteva prevalere prima dell’affermazione dell’architettura di ‘grado zero’. Ma, ora che questa è consolidata, la lotta per la libertà creativa del paesaggio e del territorio non ha motivo di essere procrastinata”. (Ibidem)

Un lungo percorso, dall’educazione allo spazio del libro Saper vedere l’architettura alla libertà del grado zero di Modena, passando sempre per la controstoria con un atteggiamento ostinato e contrario, alla perenne ricerca di una lucida libertà creativa, culturale, politica.

Ma un fatto particolarmente interessante è che alcuni embrioni del concetto di grado zero e alcune scintille della poetica della frammentazione si trovano anche - in nuce - nel Saper vedere l’architettura del ’48 che non solo svela l’essenza del fare architettura attraverso l’educazione allo spazio, ma prefigura nuove modalità critiche di comprensione del contemporaneo e della realtà urbana attraverso le riflessioni sul vuoto, sul rapporto tra spazio interno ed esterno, sulle interpretazioni estetiche, sulla quarta dimensione, in modo eclettico, dinamico.

Tutto ciò - questa innata attitudine al dinamismo culturale - si legge proprio nel confronto linguistico e nelle immagini presentate all’interno del libro: Palazzo Farnese del ’500 con sotto la Casa sulla Cascata di Frank Lloyd Wright inaugurata nel 1939; giriamo pagina e vediamo il Castello Ursino a Catania del XIII secolo con, sotto, la villa a Garches di Le Corbusier e P. Jeanneret del 1927; la Stazione Termini e sotto il Fondaco dei Turchi a Venezia; e così via, con continui salti cronologici per confrontare e riconfigurare modalità ed estetiche, per prefigurare nuove interpretazioni sull’architettura e sulla città.

Un caleidoscopio critico, fondativo e determinante per la comprensione della successiva, ultima visione zeviana della formula “Paesaggistica = Pollock”. Una storia dell’architettura – quella di Saper vedere l’architettura – che getta le basi per le successive riflessioni zeviane attraverso un linguaggio vivace e multidirezionale. La modalità è sempre aperta, distante dall’accademia. Così il cinema e la televisione diventano per Zevi determinanti per studiare l’architettura, cosa che oggi appare come lapalissiana ma nel 1948 si trattava di un processo critico rivoluzionario. Il cinema, la televisione, la comunicazione: fanno parte di questa modalità dinamica che crea sostanza e costruisce nuove visioni. Scrive Zevi sul cinema, in Saper vedere l’architettura: “La scoperta della cinematografia è di immensa portata per la rappresentazione degli spazi architettonici perché, se applicata bene, essa risolve praticamente tutti i problemi posti dalla quarta dimensione. Se percorrete un edificio con un apparecchio cinematografico e poi ne proiettate il film, voi rivivete il vostro cammino e una gran parte dell’esperienza spaziale che si è ad esso accompagnata”. (Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, 1948, edizione del 1964, p. 50)

Una ricerca che sperimenta nuovi mezzi critici per riflettere sulla storia dell’architettura e sulla nostra vita.

Uno studio attento, fatto di scrittura e di idee, di cronache e di trasmissioni tv. In tal senso è celebre il filmato del 1973 intitolato “Bruno Zevi e … Sant’Ivo alla Sapienza” di Stefano Roncoroni, prodotto per la trasmissione Rai “Io e …” ideata da Anna Zanoli. Un format che nel ’73 proietta Zevi all’interno del magnifico spazio di Sant’Ivo alla Sapienza di Francesco Borromini: Zevi analizza, riflette, scava, ragiona, con l’intelletto e con il linguaggio del corpo, dimostrando che l’architettura può essere rappresentata in mille modi e non solamente attraverso lo studio ingessato di una pianta-prospetto-sezione. Un atteggiamento che anticipa i linguaggi comunicazionali dei nostri giorni, per rendere contemporanea la progettualità del passato e per riscoprire, in questo caso, l’attualità critica di Borromini. Non si tratta, dunque, della volontà di esporre la storia: è, al contrario, il tentativo di riflettere sull’attualità di alcuni frammenti storici per guardare al futuro con occhi liberi da pregiudizi, ideologie, gabbie accademiche. Un’evoluzione critica che cresce attraverso l’analisi del linguaggio e dello spazio fino a giungere al grado zero che, in fondo, rappresenta un nuovo modo di guardare al nostro domani.

Autore: Marco Maria Sambo

In copertina:

Marcello Guido
Museo del cavallo
Bisignano – Cosenza, 2002
© Marcello Guido
Prospettiva anfiteatro. China ed acquerello su cartoncino
31x70 cm

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