Patrimonio

A Roma, e solo a Roma, si ha un fenomeno straordinario: la convivenza simbiotica tra storia e quotidiano, fra le rovine gloriose dell’antichità classica e la miseria sontuosa e a suo modo felice della periferia odierna. I borgatari vivono, distratti e inconsapevoli, sotto gli archi dell’Acquedotto Felice. Per questo Roma è la sola città in cui ci si può muovere stando fermi. Somiglia a un disordinato, rumoroso garage mentre è in realtà la capitale eterna dell’effimero, l’urbe per eccellenza, da cui trenta secoli di storia guardano noi, indaffarati contemporanei, con sovrana, paziente, talvolta amorevole indifferenza. (F. Ferrarotti, 2013) Ormai invisibile ai romani, la bellezza di Roma è stata svenduta a frotte di turisti che non ne colgono l’essenza e la usurano impoverendone l’economia. Infatti, sebbene Roma racconti più di 3000 di anni di storia e sia testimonianza vivente dell’architettura e dell’arte dall’età Augustea al Medioevo, dal Rinascimento al Barocco fino al periodo Umbertino e al Novecento, sembriamo incapaci di cogliere le opportunità di ennesima rinascita che offre la Capitale. Ci interroghiamo allora, in questo numero, su come fare per riuscire a valorizzare il patrimonio unico della nostra città, nella consapevolezza che innovazione e storia costituiscono il binomio fondamentale su cui lavorare per rendere Roma in grado di competere con le capitali europee, annullandone l’atmosfera obsoleta e provinciale con cui viene letta all’estero, che pure ci ha portato grande fama, valorizzandone la storia e il capitale archeologico e architettonico, rafforzandone l’identità culturale. Senza entrare nel merito della correttezza delle percentuali sul patrimonio culturale mondiale presente nella città (il 60%? il 40%? il 52%?) sappiamo che Roma, con il suo Centro storico dichiarato Patrimonio UNESCO nel 1980, potrebbe essere a pieno titolo la Capitale Culturale d’Europa. Tuttavia, procedure amministrative, sovrapposizione delle competenze e il fortunatamente vivace dibattito culturale che ha interessato l’Area Archeologica Monumentale dagli anni ’30 ad oggi, hanno impedito lo sviluppo e l’attuazione di progetti sulla più ampia e meglio conservata area archeologica inserita nel centro di una città e lo sviluppo di una strategia complessa che guardi al contempo alla totalità del patrimonio culturale di Roma. Nonostante negli anni si siano susseguiti studi e proposte sull’Area Centrale che hanno coinvolto prestigiosi esponenti della cultura, dell’urbanistica e della politica italiana - si pensi al Progetto per i Fori di Benevolo, Gregotti, Cagnardi, alle discussioni e alle visioni di Antonio Cederna, Italo Insolera, Vezio De Lucia, sino al più recente progetto di sistemazione dell’area archeologica tra piazza Venezia e il Colosseo di Raffaele Panella e all’odierno esito del Piranesi Prix de Rome per la risignificazione del tracciato monumentale che collega Piazza Venezia con il Colosseo - non si ha il coraggio di individuare una prospettiva di tutela e valorizzazione dell’Area Archeologica che coniughi architettura e archeologia. Non è casuale che la stessa call per Via dei Fori Imperiali del Piranesi Prix de Rome veda vincitori ex aequo tre progetti che propongono approcci diversi alla fruizione dell’area centrale. Probabilmente questo è dovuto alla consapevolezza che la risoluzione di quell’area impone un progetto di fruizione e vivibilità dell’intera città che risolva i problemi della mobilità, dell’occupazione del centro storico, della gestione dell’intero patrimonio passando anche per strategie di riqualificazione della città, che si occupino del governo del commercio e della promozione di servizi culturali immateriali, che liberino gli spazi pubblici dal commercio degli ambulanti e dei camion che vendono panini e Coca Cola, come già auspicava e tentava di fare Renato Nicolini anni fa, restituendo ai romani il patrimonio artistico e archeologico per la realizzazione di eventi e attività culturali (si pensi al successo internazionale dell’Estate Romana 1977-1985 di cui proprio Nicolini fu promotore e animatore quando era sindaco Petroselli). Eppure, nel passato recente per un breve periodo, a cavallo degli anni 2000, sostanziato dall’impulso del Giubileo, Roma ha vissuto una stagione esaltante affermandosi come capitale della cultura mondiale. L’ultima edizione di Roma Moderna di Italo Insolera, ci ricorda come in quegli anni fu restaurato e riaperto il museo di palazzo Altemps, inaugurato l’ampliamento delle terme di Diocleziano nel Palazzo Massimo, aperta la Galleria Borghese, restituito al pubblico Palazzo Barberini, e ancora recuperato il Palazzo delle Esposizioni, solo per citare alcune azioni portate a compimento. Senza affrontare il tema dell’Area Archeologica Monumentale, allora furono realizzate operazioni di recupero del tessuto museale, si ragionò sul trasporto pubblico arrivando all’attivazione della linea tramviaria 8 e furono incentivati interventi minuti ma diffusi di pulizia e decoro urbano, il tutto attivato da una politica culturale che consentiva ai cittadini di tornare a vivere la città. I tagli significativi al budget per la tutela e la valorizzazione dei beni e delle attività culturali, seguiti a quegli anni, le politiche per la mobilità che hanno visto impegnare per più di un decennio tutti gli investimenti di Roma Capitale unicamente sulla realizzazione della Metro C, il susseguirsi di amministrazioni di diverso colore prive di un progetto sulla città, hanno bloccato una stagione che avrebbe potuto rinnovare la realtà urbana, architettonica e archeologica di Roma attraverso la valorizzazione coerente del suo Patrimonio. Oggi è necessario ripensare a una corretta politica culturale adeguata ai tempi, e individuare ampie strategie di gestione, da affiancare al progetto di cura, tutela, valorizzazione e uso del Patrimonio nella sua accezione più ampia. Roma, non solo sta perdendo l’opportunità di autosostenersi con un turismo colto, ma sta perdendo anche la cura e l’attenzione dei cittadini che nella città non ritrovano più le loro radici, la loro identità. Nell’aprile 2016 il Giornale dell’Arte ha pubblicato una classifica dell’affluenza dei visitatori nei principali musei mondiali, primo è il Louvre con 8.600.000 visitatori l’anno, l’Italia appare al 25esimo posto con la Galleria dell’Uffizi (1.971.596 visitatori/anno) e Roma è solo 56esima con il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo (1.047.326 visitatori/ anno). Nondimeno, in ragione della presenza della Città del Vaticano, Roma ha accolto circa 6.000.000 di visitatori, che si sono recati ai Musei Vaticani, senza riuscire a intercettare e fare tesoro di questo volume di turismo che visita la città, ma subendo un’occupazione dell’area centrale ingorgata da bus inquinanti e impoverita da un commercio misero e globalizzato, che ha portato alla chiusura delle botteghe storiche e alla dequalificazione delle principali strade commerciali del centro. Dobbiamo perciò comprendere come si possa operare per il recupero del patrimonio archeologico, architettonico e culturale di Roma per consentirne una maggiore vivibilità da parte dei cittadini, e accogliere al contempo milioni di turisti con decoro e profitto accrescendo la loro conoscenza. Una sfida non semplice che investe l’Amministrazione Capitolina e noi tutti, e su cui cerchiamo di ragionare attraverso gli spunti di riflessione e le prospettive offerte da molti degli autori di questo numero. L’obiettivo è che, per il bene di tutta la nazione, “Roma torni a fare Roma” come suggerisce Nicola Di Battista nel bell’editoriale di Domus di novembre, di cui consiglio la lettura. 
Eliana Cangelli

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