Esperienze di cittadinanza attiva - Gli orti urbani

di Silvia Cioli
Architetto

Le iniziative di cittadinanza attiva rappresentano una risorsa preziosa per una città dal territorio esteso come Roma. Vi sono oltre 200 realtà dove i cittadini si sono “rimboccati le maniche” ed hanno recuperato aree verdi abbandonate, incolte, di risulta, nella città storica e in periferia, per restituirle all’uso di tutti come spazio pubblico: chi prende spunto dall’orto/giardino per lavorare con i disabili, chi per reinserire lavoratori in mobilità, chi per l’autoproduzione o l’educazione ambientale, chi per fare un presidio contro la speculazione edilizia, chi per creare un’oasi di relax, per decoro o semplicemente per coltivare. Le città, entità complesse e fragili al tempo stesso, sono fatte in gran parte da spazio pubblico: strade, piazze, giardini, parchi e, in particolare nel caso di Roma, anche dalle grandi aree verdi periurbane dettate dalla sua forma urbis. Gran parte di queste aree sono prive di manutenzione e, per l’abbandono, vanno perdendo senso: non sono più agro romano, non sono ancora città ma un grande arcipelago che alterna isole urbane dense e diradate1. Storicamente la qualità delle aree verdi pubbliche in un contesto urbano costituisce un indicatore sulla qualità di vita di quel centro urbano e rivela la capacità di gestione del territorio da parte di un’amministrazione pubblica. Il verde cresce, non sta fermo. Perché un’area verde diventi piacevole o semplicemente accessibile è necessario dedicarvi risorse ed energie che consentano una manutenzione continuativa durante le diverse stagioni. Non si deve trascurare il fatto che la spesa media sostenuta per la cura del verde urbano a Roma era, ben prima della crisi economica, pari a 1,22 e/mq contro i 5,07 e/mq di Parigi2. Nel 2015 il Comune di Roma, dove vi sono 15,9 mq di verde urbano per abitante, ha speso 30,00 e/ab. per la cura del verde contro i 46,00 e/ab. di Firenze, dove vi sono 21,3 mq di verde urbano per abitante. Roma spende a metro quadro meno di un terzo di quanto spende Genova. Fra il 2014 e 2015 solo un terzo delle alberature rimosse è stato rimpiazzato con nuovi alberi. Secondo la Relazione Annuale del 2016 dell’Agenzia per il Controllo e la Qualità dei Servizi Pubblici Locali del Comune di Roma, in cinque anni il Comune ha perso 34.000 alberi. All’impoverimento della cura del verde a Roma, per le poche risorse a disposizione e la mancanza di riconoscimento del “valore” del verde in un contesto urbano, si è accompagnata contestualmente una perdita di valore e significato della campagna, l’agro romano, famoso come meta del Grand Tour. Negli ultimi venti anni, secondo i dati emersi dal Censimento dell’agricoltura dell’Istat, nel Comune di Roma un terzo della superficie agricola utile è andato perso a favore dell’abbandono e del consumo di suolo, passando da 64.246,74 a 43.271,39 ettari dal 1990 al 2010. Questi dati forniscono il quadro entro il quale si colloca la reazione operosa della cittadinanza attiva romana. L’erosione degli spazi pubblici nelle città, come pure l’aumentata sensibilità e consapevolezza delle tematiche ambientali, costituiscono una parte delle premesse che spingono i cittadini ad attivarsi. Mentre nelle città per motivi contingenti di natura politica ed economica si registra un restringimento degli spazi di socialità e cultura, un piccolo spazio condiviso, conquistato da un gruppo di cittadini, costituisce lo spunto per la realizzazione concreta di un gran numero di iniziative diverse. Queste esperienze coinvolgono ampie fasce di cittadini, costituendo una potenzialità per la costruzione di nuove relazioni sociali in contesti periferici. Sono spazi che rispondono all’esigenza di “fare comunità” e offrono un’alternativa alle categorie sociali emarginate dalla società moderna, fornendo occasioni di integrazione con immigrati e pratiche per l’educazione ad attività sostenibili. Abbiamo a che fare con dei beni comuni, palestre di cittadinanza attiva, ai quali attingere in una visione di sostenibilità più ampia in cui gli orti e giardini possono essere un importante tassello per politiche resilienti di contrasto al cambiamento climatico e per costruire una città più inclusiva e sicura. I valori aggiunti di queste esperienze sono molteplici e sorprendenti. La tessitura di relazioni sociali, il “fare comunità”. È quanto accaduto a Tor Sapienza con il progetto “Sar San” dove l’orto è stato l’occasione di integrazione dei bambini Rom, oppure a Coltivatorre e Orto Capovolto dove a essere integrati sono i diversamente abili, mentre a Eutorto l’orto ha offerto un’occasione di socialità e di “affettività” ai lavoratori dell’ex Eutelia. Gli orti e giardini condivisi sono anche occasione per avere spazi pubblici vivibili open air dove ogni generazione trova un proprio ruolo, come avviene a San Giovanni negli orti familiari Santa Caterina, a Labaro con Dame D’Erbe, al Pigneto nel giardino di via Castruccio Caro o negli “storici” giardini condivisi di via dei Galli a San Lorenzo, di via del Mandrione, di via Morozzo della Rocca a Casal Bertone e del Parco della Cellulosa a Casalotti realizzato in collaborazione con Legambiente. In altri casi gli orti e giardini condivisi sono l’occasione per sperimentare modelli di interazione sociale e percorsi di riqualificazione ambientale o di stili di vita sostenibili. Al Pigneto il gruppo Fermenti di Terra ai Giardini Persiani Nuccitelli ha coltivato con permacultura una piccola aiuola della piazza lasciando cogliere i frutti del suo lavoro ai passanti; a Centocelle l’Orto Maestro ha riqualificato un terreno inquinato attraverso la semina della senape; all’Ostiense il Cinorto! - un orto sperimentale al lato del campo da rugby autogestito - è stato la palestra del primo corso di giardinaggio alternativo a Roma; all’Ortofficina sulla via Prenestina, in una delle aree più inquinate di Roma, l’ex SNIA, l’orto dell’omonimo centro sociale è in cassetta fuori terra secondo un modello seguito a Casale Garibaldi con Lavangaquadra. Agli Orti Urbani Garbatella si è sperimentato un modello di assegnazione delle particelle che vede insieme spazi individuali, spazi condivisi e per realtà del territorio quali scuole o associazioni. Di forte potenzialità sociale e ambientale sono gli Orti Tre Fontane in prossimità della via Laurentina e quelli del parco di Aguzzano, mentre costituiscono realtà di forte interesse educativo e culturale le esperienze di Ortolino ospitato per qualche anno nel giardino storico dell’Acquario romano, a cura della scuola Di Donato, e l’orto Anna Magnani dell’Istituto Comprensivo Fontanile Anagnino a Morena. La cura del verde esistente e la creazione di “comunità” guida anche le numerose azioni di Guerrilla Gardening che imperversano in città sulle orme dei recidivi Giardinieri Sovversivi Romani. Nelle “famigerate” periferie del Corviale e di Tor Bella Monaca, in quelle storiche di Centocelle, di Valco S. Paolo e Primavalle, in occasione di raduni sui diritti come i Gay Pride o in ricorrenze democratiche come il 25 aprile o il 1° maggio, i Giardinieri Sovversivi Romani hanno portato verde e colori sapendo distinguere occasioni dove effettuare interventi “spot” e dove interagire con i residenti perché l’azione di Guerrilla Gardening non fosse fine a se stessa, ma potesse essere l’avvio di una riqualificazione “partecipata”. Alcune delle esperienze sopra citate hanno concluso il loro percorso, la gran parte hanno una storia che continua ancora oggi. A queste si sono aggiunte molte nuove esperienze nel tempo. Ognuna, sia quelle che continuano sia quelle che sono terminate, ha costituito un percorso di sperimentazione di cittadinanza attiva e di ambientalismo post litteram che ha contribuito a far crescere il mondo degli orti e giardini condivisi romani nel suo complesso. Esiste una mappa on-line di queste realtà spontanee su Google Maps. La mappa, visibile dal sito di Zappata Romana (zappataromana.net), è basata su icone sulle quali cliccando compaiono, per ognuna delle aree censite: una foto, una descrizione e un link. I tratti comuni di tutte queste esperienze, con varie gradazioni, sono la partecipazione e la condivisione della gestione da parte dei cittadini. Questi tratti sono distintivi rispetto a fenomeni simili quali gli orti urbani romani “tradizionali”, informali e di lunga storia (dagli orti dei ferrovieri a quelli di guerra), che secondo un censimento del Comune di Roma risultano essere circa 2.300 lotti distribuiti su 67 siti3. La mappa di Zappata Romana ha contribuito a riunire queste esperienze facendole uscire dall’ombra; ognuna delle realtà mappate non conosceva le altre o ne conosceva solo alcune. L’esperienza di Zappata Romana è continuata con l’aggiornamento annuale della mappa e l’avvio di un sito web dove si raccontano, attraverso interviste video, le esperienze dei cittadini “che fanno” e si possono trovare gli strumenti “per fare”. Il messaggio che si è voluto e si vuole dare è che anche a Roma “si può fare”. Il sito è stato completato sul finire del 2011 con l’inserimento di una guida per l’avvio di un orto giardino condiviso, scaricabile gratuitamente in italiano e inglese. I temi affrontati riguardano la cittadinanza attiva, le indicazioni pratiche sui primi passi da fare per iniziare, organizzarsi e pianificare. La guida è stata successivamente edita da Terra di Mezzo Editore4, continuando ad essere scaricabile gratuitamente dal sito di Zappata Romana. Il dato quantitativo della “zappata romana” non è solo dato dal numero “fisico” di aree riportato in precedenza, ma anche dalle “risposte” via internet e “social”5 che hanno coinvolto un grande numero di persone e hanno “trainato” le forme di comunicazione tradizionali6. Indubbiamente l’esistenza di internet è stata determinante. Senza il web non sarebbe esistita una tale alimentazione e diffusione della mappa e non sarebbe stato possibile connettere tante persone. Il lavoro di mappatura in primo luogo ha reso una realtà frammentata (i molti orti e giardini condivisi) un paesaggio coerente portatore di una differente coscienza urbana. Il fenomeno degli orti e giardini condivisi infatti, prima che venisse resa pubblica la mappa, era pressoché sconosciuto. Ogni orto e giardino condiviso, in una realtà urbana articolata e complessa come Roma, è infatti un piccolo frammento e una anomalia. È importante per le persone che vi afferiscono, attraverso percorsi di cittadinanza attiva e partecipazione. È importante per i cittadini che vi abitano nei pressi che possono godere della socialità, della incidenza sul miglioramento della sicurezza urbana, della manutenzione degli spazi verdi e del loro godimento. Tutto questo alla scala di un ambito urbano o di un quartiere. Duecento aree di questo tipo costituiscono sicuramente un miglioramento per alcune comunità urbane, ma rimangono pur sempre duecento piccole tessere rispetto al sistema urbano complessivo di Roma. La mappa ha permesso di riunire queste tessere costituendo un’immagine d’insieme. “La rappresentazione degli orti e giardini condivisi di Zappata Romana rende i frammenti verdi della città come un paesaggio urbano coerente, parti di una totalità urbana con una “psico-geografia” alternativa e una nuova coscienza urbana”7. In questo la mappa ha supplito al compito dell’Amministrazione comunale nel promuovere un modello urbano sostenibile e alternativo. Ognuna di queste 200 esperienze è una realtà autonoma, indipendente, organizzata con proprie regole e finalità legate al contesto e alle persone che vi afferiscono. Il ruolo di Zappata Romana è stato ed è solo quello di censirle attraverso la mappatura. Dal 2010, anno di prima edizione della mappa, al 2017 gli orti e giardini condivisi censiti sulla mappa sono passati da 40 a 200. Le motivazioni dietro a questo fenomeno, secondo le principali fonti di letteratura scientifica sugli orti e i giardini condivisi, sono in parte “globali”: la crisi economica, in ogni periodo di crisi, aumenta il fenomeno dell’orticultura; la necessità di un rinnovato rapporto con la natura legato al nostro modello di vita insostenibile; la ricerca di prodotti sani e con proprietà organolettiche elevate. A queste motivazioni “alte” si deve aggiungere, sempre a livello globale, la moda lanciata da Michelle Obama con l’orto alla Casa Bianca che ha sdoganato questa pratica verso il grande pubblico. Nel caso di Roma al tema degli orti si sono aggiunte motivazioni locali derivanti dalla carenza di spazi di relazione, dall’abbandono del verde urbano e da una forma urbis storicamente caratterizzata sia da “cunei verdi” che arrivano fino al cuore della città, sia dalla presenza storica di orti urbani, testimoniati dalla Mappa del Nolli del 1748, in cui la città costruita è inscindibile dagli orti dentro e fuori le mura. Non ultima tra le motivazioni “locali” vi è il ruolo della mappa e del ruolo svolto da Zappata Romana. Un nuovo modello di spazio pubblico è possibile grazie alle iniziative della cittadinanza attiva sia nelle parti di città più storiche, sia e soprattutto in quelle parti dove si alternano “isole” urbane dense e diradate a formare un grande arcipelago urbano8. La sfida per Roma si vince in questo “arcipelago” di aree, nel farle diventare urbane intervenendo a partire dallo spazio pubblico con idee, progetti di innovazione sociale e politiche pubbliche nonché con il ben noto “rammendo” puntuale che ha il merito di riconoscere queste aree come luoghi ricchi di umanità ed energia, con un’estetica e un capitale sociale e naturale differente dal resto della città9. Questi luoghi dove vive la maggior parte dei cittadini sono la frontiera della società contemporanea, luoghi pieni di contraddizioni che, tuttavia, forniscono agli individui e alla società laboratori di sperimentazione della città di domani10. Si pensi, oltre al fenomeno degli orti e giardini condivisi, anche alle azioni di pulizia collettive, alle pratiche collaborative in atto tra istituzioni e cittadini che hanno dato vita a esperienze come le operazioni positive dei genitori di manutenzione nelle scuole che le trasformano in fulcro di quartiere, dove cittadini si mettono in gioco in prima persona grazie all’articolo 118 della Costituzione che prevede il principio di sussidiarietà. Tali azioni restituiscono alla città decoro, cittadinanza attiva, spazi pubblici, beni comuni, spazi di libertà e socializzazione. La facilitazione dei processi senza determinare strumenti rigidi di regolazione favorisce la sperimentazione riconoscendo ai cittadini la possibilità di partecipazione, di organizzazione e gestione degli spazi pubblici per rimuovere gli ostacoli di ordine amministrativo, economico e sociale, e, con questo, permettere l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale della città, anche individuando nuove professionalità innovative legate alla facilitazione e gestione dei processi di costruzione democratica e partecipativa della città. I giardini e gli orti condivisi ci dimostrano che non sono uno strumento in opposizione alla pianificazione e non hanno nulla a che fare con il tradizionale abusivismo che pervade le nostre città e i paesaggi, dove il privato si prende aree pubbliche e le utilizza per proprio interesse. Qui l’intervento del privato ha uno scopo diametralmente opposto: restituire alla collettività un’area curata, viva, mantenuta e aperta a tutti. Si tratta a tutti gli effetti di una forma di pianificazione urbana (rivolta a un futuro migliore), anche se non “ufficiale”, forse definibile come informale, ma pur sempre una pianificazione con un esito concreto, in opposizione all’immobilità che spesso regna nell’azione del pubblico in Italia. Pur esprimendo un dissenso, i cittadini agiscono in maniera positiva11. La politica dell’Amministrazione in questo ambito, a Roma come altrove, dovrebbe seguire regole semplici e di buonsenso, senza abdicare al ruolo di dare un orizzonte politico e culturale adatto alle sfide dei tempi che viviamo. L’insieme di questi episodi frammentati in cui le persone si mettono in gioco in prima persona, attraverso un ruolo dell’Amministrazione, potrebbero costituire dei percorsi condivisi, specifici in ogni contesto di quell’arcipelago citato in precedenza che caratterizza gran parte della città di Roma, per ricostruire una differente e nuova coscienza urbana in cui non si dimentichino, oltre alle finalità ambientali, quelle culturali e di solidarietà economica e sociale costituendo dei poli di partecipazione e democrazia che sono il contraltare di Mafia Capitale.

Immagini fornite da Silvia Cioli

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