120 / Editoriale

BRUNO ZEVI ERA UN ROMANO - di Flavio Mangione

Bruno Zevi era un romano, uno degli intellettuali più lucidi e coraggiosi che l’intera cultura architettonica mondiale abbia conosciuto. Un “romano prima in America”, poi a Venezia e poi di nuovo a Roma.

Un furioso egocentrico di sapiente ironia, sfuggente ed eretico. La sua eresia era nel paradosso dell’emancipazione della diversità, nel culto del diverso che deve o vuole uscire dal ghetto. Ma uscendo da precisi confini, seppur coatti, c’è il rischio e l’avventura della contaminazione, della perdita di identità, della sfida del dialogo e la difficoltà di giungere a nuove sintesi.

In tutto questo troviamo la sua concezione di architettura, di città, di territorio, di civiltà. La sua storia dell’architettura, la sua critica al mondo parte dalla necessità di agire attraverso una severa e attenta analisi proprio di quei principi di identità che hanno dato carattere, senso e giustezza al fare architettonico nei secoli.

I cookie rendono più facile per noi fornirti i nostri servizi. Con l'utilizzo dei nostri servizi ci autorizzi a utilizzare i cookie.
Maggiori informazioni Ok