Abitare a Roma

Indagare il tema dell’Abitare a Roma significa scontrarsi con una serie di paradossi e contrapposizioni. Secondo i dati pubblicati periodicamente dalll’Agenzia delle Entrate, le compravendite nel settore residenziale hanno mostrato un calo costante dal 2006 a oggi, con l’unica eccezione degli anni 2010 e 2014, in cui sono state registrate crescite che non hanno però riportato i numeri vicini a quelli degli anni precedenti la crisi economica. Dal 2005, infatti, le transazioni immobiliari riguardanti le abitazioni sono scese nella Capitale da 68.234 alle 38.466 del 2014. Nel 2007 gli appartamenti costruiti nella città di

Roma venivano venduti ancora prima di essere completati, oggi il tempo di attesa è di vari mesi in molti casi, quando non restano sul mercato per anni. Roma ha reagito alla crisi poco meglio del resto d’Italia: se nel 2005 la quota di vendite relative alla capitale incideva sul totale per poco meno dell’8%, nel 2014 arrivava al 9,2%: una magra consolazione per gli operatori immobiliari, che non hanno smesso di costruire mentre gli acquirenti continuavano a diminuire. I prezzi sono calati e le formule di vendita si sono evolute e differenziate nel tentativo di agevolare i possibili acquirenti: al Parco Leonardo, ad esempio, a diversi anni dal completamento restano ancora diversi alloggi disponibili, proposti con la formula dell’affitto con riscatto: si entra come affittuari e si decide in seguito se acquistare o meno. La situazione, però, non è cambiata molto.

Da un lato case vuote, dall’altro la cosiddetta emergenza casa, centinaia di nuclei familiari che non possono permettersi di acquistare né di affittare un’abitazione ai prezzi di mercato. Il piano di Roma Capitale era, sulla carta, quello di differenziare l’offerta per poter soddisfare le necessità delle famiglie con reddito più basso, che non possono permettersi alcun canone, con l’edilizia residenziale pubblica, e dei nuclei famigliari troppo “ricchi” per l’edilizia popolare (più di 18.000 euro l’anno) che non possono però permettersi di accedere al libero mercato, con l’edilizia sociale. Questi piani, però, faticano a diventare realtà e le proteste dei cittadini sono all’ordine del giorno.

Riforma del settore casa

Lo scorso luglio l’allora sindaco Ignazio Marino annunciò una “riforma del settore casa” che puntava a razionalizzare il patrimonio immobiliare posseduto e gli spazi in affitto per realizzare economie che, combinate a una gestione diretta degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica (Erp), avrebbero dovuto garantire assistenza abitativa a coloro i quali ne avevano diritto. Un piano ambizioso e pieno di buone intenzioni in cui, però, non tutto si è svolto come previsto. Secondo il Campidoglio, le nuove entrate e le spese risparmiate avrebbero dovuto generare un delta minimo di 55 milioni di euro. Ben presto, purtroppo, la stima si è rivelata molto ottimista. Il 10 agosto, data fissata per l’asta degli immobili non Erp messi in vendita dalla Capitale (abitazioni, negozi, botteghe, magazzini e depositi, un albergo e un ufficio, di cui la metà nel centro storico, con numerosi palazzi di pregio), solo 5 dei 35 edifici hanno ricevuto almeno una offerta, mentre gli altri dovranno essere rimessi in vendita, con un ribasso del 5% per quelli collocati al di fuori del centro. Anche l’asta del 15 dicembre per un immobile con destinazione d’uso commerciale nel quartiere Flaminio è andata deserta. 

Altro provvedimento annunciato lo scorso luglio era stato il passaggio dai Caat, Centri di Assistenza Alloggiativa Temporanea i cosiddetti residence ai Saat, Servizi di Assistenza Alloggiativa Temporanea, che avrebbe garantito un risparmio di 13 milioni di euro all’anno. I vecchi residence erano strutture affittate a caro prezzo da immobiliari private, in parte chiuse nei mesi scorsi, in parte in scadenza alla fine dello scorso anno e prorogate fino a fine gennaio; quattro di queste resteranno invece in attività fino alla fine del 2018. L’avvio dei Saat previsto per il primo gennaio 2016 è stato per il momento posticipato perché la gara per l’affidamento del nuovo servizio è andata deserta. Roma Capitale ha quindi pubblicato un nuovo avviso pubblico per l’erogazione del Buono Casa, riservato ai nuclei familiari ospiti dei Caat, misura già introdotta nel 2014 per le famiglie in attesa di assegnazione di un alloggio popolare e ora reso obbligatorio, che consiste in un contributo una tantum di 5.000 euro e una somma mensile compresa tra 600 e 800 euro. Secondo l’amministrazione, il fine è quello di “promuovere un netto cambiamento culturale riguardo la politica di solidarietà delle Istituzioni”, che da un lato devono garantire tutela ai cittadini in difficoltà, dall’altro devono “valorizzare le risorse personali dell’individuo”. Per consentire lo svolgersi dell’iter necessario all’assegnazione dei buoni casa, la chiusura dei residence in scadenza è stata quindi prorogata dal commissario Tronca, per il momento, alla fine di gennaio 2016.

Edilizia Residenziale Pubblica

Al di là delle difficoltà oggettive delle famiglie che si trovano nel limbo di una situazione doppiamente temporanea (il buono casa sostituisce i Caat, ma non sostituisce l’alloggio popolare e, anzi, è un passaggio obbligato per non perdervi il diritto), quello che continua a mancare sono dei piani concreti per aumentare sensibilmente, e in tempi relativamente contenuti, l’offerta di nuovi alloggi Erp. L’unica speranza nel breve periodo è data dagli sgomberi dei locali occupati da non aventi diritto. I controlli della scorsa estate avevano rivelato, secondo il sindaco e gli assessori Cattoi (Patrimonio) e Danese (Casa ed Emergenza abitativa), diverse irregolarità: non solo occupanti proprietari di altri immobili o con redditi superiori a quelli consentiti, ma casi di vera e propria vendita abusiva. I primi sgomberi hanno avuto luogo all’inizio di quest’anno e dovrebbero consentire a coloro che sono presenti da molto tempo nella graduatoria per l’assegnazione in locazione degli alloggi Erp di accedervi.

Roma Capitale prevede inoltre di vendere le vecchie case popolari per acquistarne di più recenti, mentre nuovi interventi nasceranno grazie ai contratti di quartiere Corviale e Primavalle, dove verranno recuperati immobili della Regione e del Comune. Per l’area di Corviale, nel Novembre del 2015 sono iniziate le attività di manutenzione straordinaria, che dovrebbero essere seguite dai lavori di trasformazione del quarto piano secondo il progetto vincitore del concorso indetto nel 2008 (T Studio) e mai realizzato a causa delle occupazioni, mentre a dicembre è stato annunciato il progetto vincitore di un altro concorso indetto per la riqualificazione del complesso, Rigenerare Corviale (Laura Peretti, Studio Insito), indetto dall’Ater di Roma per ripensare gli spazi comuni e le relazioni della struttura con lo spazio urbano circostante e finanziato dalla Regione Lazio.

Nelle linee programmatiche dell’Ater del Comune di Roma per la gestione commissariale dell’anno in corso si fa riferimento al Piano Straordinario per l’emergenza abitativa nel Lazio, un piano quadriennale del 2014 in cui veniva proposta la realizzazione di 1.082 nuovi alloggi Erp e di housing sociale, oltre al recupero di complessi edilizi dislocati in 12 diversi quartieri di Roma. In tali linee programmatiche si ricostruisce lo stato dell’arte dei progetti: a un anno e mezzo dalla presentazione del programma quadriennale di interventi, si afferma, tutti i progetti sono stati definiti negli aspetti tecnico-costruttivi e per alcuni possono essere avviate le procedure di affidamento lavori. 

Ater sta inoltre valutando le proposte arrivate in seguito all’avviso pubblico per la manifestazione di interesse alla cessione all’Ater di Roma di immobili ad uso residenziale.

Edilizia sociale

All’inizio del 2015, la Regione Lazio ha firmato un protocollo di intesa con CDP Investimenti Sgr, la società di gestione del risparmio di Cassa Depositi e Prestiti, per realizzare interventi di edilizia sociale da destinare alla locazione a canone calmierato nell’ambito del sistema integrato dei fondi previsto dal Piano Casa nazionale per “chi è troppo ricco per le case popolari e troppo povero per il libero mercato”, fino ad allora a Roma inutilizzato. L’accordo, pensato per agevolare le fasce più sensibili della popolazione, come giovani coppie e anziani, prevede una collaborazione tra Roma Capitale e la Sgr per le fasi sia di verifica della fattibilità sia di attuazione dei progetti di housing sociale da attuarsi nell’ambito dell’attuale PRG, senza consumo di suolo ulteriore. Roma Capitale non disporrebbe infatti delle risorse finanziare necessarie per realizzare in maniera diretta gli interventi, ma può mettere a disposizione aree edificabili idonee a questo tipo di destinazione. Si prevedeva entro il 2015 un investimento di 190 milioni di euro per circa 2.000 alloggi, la maggior parte da locare a canone calmierato per il medio e lungo periodo, anche con facoltà di riscatto, e in parte da destinare alla vendita a prezzi convenzionati.

Particolarità dei progetti di housing sociale sono l’attenzione per pratiche architettoniche sostenibili e la struttura in forma di “piccoli borghi”, piuttosto che di semplici aree residenziali: sono previsti servizi comuni, assistenza e aiuto per mamme e anziani, luoghi di aggregazione per le comunità. 

Lo scorso 15 dicembre, una sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito tra l’altro che sussiste il vincolo del “prezzo massimo di cessione“ dell’immobile costruito in regime di edilizia agevolata, non soltanto per la prima compravendita ma anche per tutte quelle successive alla prima. Tale vincolo potrà essere rimosso tramite il pagamento di un corrispettivo a Roma Capitale, ma la sua entità è attualmente in via di definizione. Questi chiarimenti dovrebbero permettere di evitare, in futuro, le speculazioni legate all’edilizia agevolata che hanno portato negli ultimi dieci anni alcuni dei beneficiari a rivendere gli appartamenti a prezzi di libero mercato, lucrando sugli investimenti pubblici a fondo perduto.

Iniziative spontanee

Intanto alcune soluzioni nascono spontaneamente grazie all’impegno di altri attori sociali che dal 2001 possono essere coinvolti, tramite la programmazione partecipata prevista dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, come soggetti fornitori nella realizzazione dei servizi di welfare. A Roma, in via Guattani, è nato grazie all’impegno dell’Asilo Savoia il co-housing Regina Margherita, che ospita in una villetta liberty sei persone anziane autosufficienti con più di 70 anni che, per impossibilità economica documentata, non riescono a mantenere la propria abitazione. Il piccolo complesso accoglie sei appartamenti autonomi con servizi collettivi con l’obiettivo di offrire una alternativa diversa dalle case di riposo, ma sempre di tipo comunitario, e al contempo i servizi assistenziali, sociali e culturali del Centro Polifunzionale per la Terza Età Sant’Eufemia a cui afferisce. Iniziative simili sono nate in altre città d’Italia, in Emilia-Romagna e in Toscana, sempre con l’obiettivo di favorire socializzazione, collaborazione e aiuto reciproco tra persone anziane, ma sono soltanto un esempio delle tante realtà di co-housing realizzate negli ultimi dieci anni in tante città italiane e nel mondo, forse anche grazie a una nuova consapevolezza in tema di razionalizzazione delle risorse e a una ritrovato interesse per i rapporti di vicinato, come dimostrato anche dal diffondersi delle social street, giunte a Roma e un po’ in tutto il mondo, gruppi di vicini che per (ri)incontrarsi in quartieri pensati e costruiti piuttosto per garantire la privacy e gli spazi individuali di ognuno, utilizzano i social network.