Progetto di ri-naturalizzazione del Comune di Guidonia

Guidonia Montecelio è un comune di 88.435 abitanti appartenente alla Città metropolitana di Roma Capitale, 22 km a nord est di Roma. È il terzo comune più popoloso del Lazio e il secondo non capoluogo di provincia più abitato d’Italia. Il suo territorio, esteso per oltre 80 kmq, è il risultato dell’accorpamento,

nel 1937, tra il comune di Montecelio e il suo aeroporto militare, la città di fondazione fascista Guidonia, parte delle aree della Piana di Tivoli e qualche zona agricola sul confine romano. 

Nel dopoguerra il comune ha avuto un vertiginoso aumento demografico, dovuto alla crescita dell’hinterland romano sugli ampi terreni ancora non edificati dell’Agro Romano, seguito da forte presenza industriale e da pendolarismo, con annessi problemi ambientali e sociali derivati da una scarsa attenzione all’urbanistica e ai servizi al cittadino. Il comune di Guidonia Montecelio è così passato dai 40.000 abitanti nel 1980 agli oltre 80.000 nel 2010, diventando terza città della Regione, con una previsione di 100.000 residenti nel 2020. Lo sviluppo del territorio, veloce e caotico, all’insegna della cementificazione a macchia di leopardo e zona dormitorio a buon mercato rispetto alla vicina e più cara Capitale, ha fatto perdere così l’originale carattere organico e fondativo di un “comune corredato di tutti i servizi e gli edifici di carattere pubblico occorrenti alla vita e all’amministrazione di un nuovo comune autonomo”. 

Secondo i dati provinciali, la presenza di varie fonti di inquinamento non garantisce una buona qualità dell’aria, aggravata dall’attività delle cementerie Buzzi Unicem, che nel 2007 rappresentavano l’impianto regionale più impattante in termini di CO2 con 1.084.450 tonnellate emesse, oltre che responsabile dello sfruttamento del territorio devastato dall’escavazione del calcare. A ciò si aggiungono le attività estrattive del travertino che incidono sulla presenza in atmosfera delle polveri sottili, ma hanno anche generato enormi crateri ai lati della Via Tiburtina, hanno dirette responsabilità sul fenomeno delle subsidenze (movimenti del sottosuolo) ed hanno reso quella porzione di territorio inutilizzabile a fini urbanistici. I moderni sistemi di escavazione hanno portato all’esaurimento delle falde storiche e pregiate, mentre tutta l’acqua emunta 24 ore su 24, riversata nel vicino fiume Aniene, provoca depressione nel sottosuolo e inquinamento nel corpo idrico superficiale. La Regione Lazio ha dichiarato lo stato di calamità (2005) per la zona, colpita dagli effetti della subsidenza, mentre lo stato di emergenza è stato decretato dal Governo (2006). A questi disastri si è aggiunto quello “redditizio” dei rifiuti, con autorizzazioni per impianti di discarica e TMB all’Inviolata (all’interno di un’area di pregio archeologico e paesaggistico) per società del “magnate” Manlio Cerroni (proprietario della discarica di Malagrotta), con risibili ricadute occupazionali e forte contaminazione della falda sottostante, attestata da ARPA Lazio. Inoltre, a Guidonia non c’è quasi traccia di verde urbano né di verde naturale: i quasi 90.000 abitanti, pur avendo un territorio molto esteso, dispongono di superfici boschive ridottissime. Un recente studio regionale attesta che a Guidonia ci sarebbero appena 26 ettari di superfici boscate, con un decremento di quasi 86 ettari rispetto al 1990 (circa il 70% in dieci anni), su 8100 ettari di territorio comunale! 

L’eccezionale interesse naturalistico della Piana guidoniana deriva senza dubbio dalle sue caratteristiche geologiche, che però contrastano con l’intensa urbanizzazione cui è sottoposta. Il travertino si sta esaurendo ed è giunto il momento di cominciare a pensare a un diverso uso di questo territorio che, consumate le risorse non rinnovabili, dovrebbe iniziare a valorizzare quelle che esauribili non sono, come quelle naturalistiche e culturali di cui l’area è ricchissima. 

Lavorando assieme al C.R.A - Comitato di Risanamento Ambientale di Guidonia - sigla che comprende varie associazioni di cittadini che da anni si battono per la salvaguardia dell’ambiente in cui vivono, abbiamo elaborato un progetto volto alla rinaturalizzazione del territorio. Un manifesto per il futuro, che apra la strada a un’inversione di tendenza nell’uso del suolo e dell’ambiente, che possa servire per il recupero di altre aree altamente inquinate. Durante lo studio sono state individuate le seguenti zone e fasi d’intervento: 

La zona dell’Inviolata ha urgente bisogno di interventi di mitigazione del danno ambientale creato in 30 anni dalla seconda discarica del Lazio (una collina di 3.500.000 tonnellate di rifiuti, con inquinamento della falda sottostante). L’area, rinaturalizzata con specie arboree e arbustive locali e interconnessa con le aree verdi circostanti, nell’arco di 10-20 anni sarà nuovamente fruibile. Seguendo l’esempio del progetto elaborato e premiato nel concorso “Malagrotta Landfill Initiative” a Roma, si suggerisce un intervento in 3 fasi in cui solamente la prima subisce l’intervento umano, seguita da una rinaturalizzazione spontanea dell’area. 

Il calendario prevede: 

- opere di contenimento fisico e isolamento superficiale dei rifiuti con susseguente messa a dimora delle piante da utilizzare per iniziare il recupero; 

- osservazione dei tempi della “colonizzazione” dell’area da parte delle specie vegetali ed animali; 

- nascita di un parco come un’isola a elevata naturalità, in un territorio fortemente degradato. 

La colonizzazione dell’area sarà favorita dalla creazione delle “buffer-strip”, strisce di connessione biologica estese ai comuni confinanti che mettendo in contatto diverse aree verdi, esistenti e da progetto, faciliteranno il recupero delle zone più degradate all’interno del territorio di Guidonia Montecelio. La discarica dell’Inviolata è chiusa dal febbraio 2014, e dal 6 agosto 2015 la Soprintendenza archeologica del Lazio ha posto un vincolo di “notevole interesse pubblico” (Dlgs 42/2004) su 1.500 ettari di terreni intorno al sito dell’Inviolata e di altre tenute storiche della campagna romana. 

Per il fiume Aniene è stato elaborato un progetto di recupero del corso d’acqua come asse di un nuovo parco extraurbano, in connessione tra i margini del fiume e le frazioni circostanti (Villanova, Villalba, Tivoli Terme, Bivio Guidonia e Villa Adriana) con passerelle e percorsi naturali, in continuità con il Parco romano dell’Aniene. Un macroprogetto paesaggistico composto da tanti microinterventi, come la nuova piantumazione nel letto del fiume di piante acquatiche con proprietà di filtraggio o il ripristino delle insenature naturali lungo il corso del fiume distrutte dall’intervento umano e in grado di diversificare l’habitat ecologico, tanto acquatico quanto terrestre. Tutti questi interventi hanno come obiettivo ultimo lo sviluppo autonomo del fiume nel corso degli anni a venire senza necessità di altre operazioni da parte dell’uomo. 

Per le adiacenti cave di travertino come per la Buzzi Unicem, dovrà essere istituito un tavolo di discussione che coinvolga tutti gli stakeholder, avendo come obiettivo finale una soluzione condivisa sul recupero delle zone inquinate, con un ridimensionamento sostenibile del cementificio e il termine delle attività estrattive per le cave. Come possibili scenari, si suggeriscono gli esempi del Parco Scultura La Palomba a Matera (recupero della cava di tufo), del progetto realizzato dal Politecnico Lausitz (recupero delle cave IBA nella Ruhr in Germania, trasformate in un parco lagunare di zone umide e semi-umide) o delle cave di marmo Dionysos (trasformate in museo all’aria aperta in Attica, Grecia). 

L’asse tiburtino, oltre a collegare le zone abitate di Guidonia e Tivoli con la capitale, è circondato da luoghi di interesse culturale, naturale e archeologico. Il rapido susseguirsi di realtà quali le Terme delle Acque Albule, le cave di travertino, il Sito di Interesse Comunitario “dei travertini”, il fiume Aniene, il complesso di Ponte Lucano e Mausoleo dei Plauzi, la villa dell’Imperatore Adriano e le altre ville di Tivoli (patrimonio mondiale dell’Unesco), merita di essere organicamente sviluppato dal punto di vista turistico, potenziando i collegamenti con la capitale e cercando di ridurre il traffico sull’inadeguata consolare, che dovrebbe destinare il centro della sede stradale a un trasporto pubblico rapido e sostenibile. 

Il progetto nasce quindi con specifiche differenti a seconda delle zone di intervento ed è stato pensato per integrare diverse tipologie di parco: 

- Il Parco Post Industriale. La Buzzi Unicem o le cave di travertino saranno trattate come “monumenti industriali” da conservare, almeno in parte, anche dopo la loro chiusura perché di grande impatto visivo e in grado di testimoniare il passato dell’area. 

- Il Parco Naturale. Creato per preservare l’habitat naturale della zona con grandi aree dove la natura viene lasciata libera e dove tornare a vedere grande varietà di specie animali e vegetali. 

- Il Parco Agricolo. Per recuperare la vocazione agricola della zona e avere un ritorno economico istituendo un’azienda agricola comunale (si veda l’esempio dell’Emscher-Park nella Ruhr tedesca) con una fattoria pedagogica finalizzata all’uso responsabile delle risorse naturali, nonché a offrire la possibilità specialmente ai giovani di acquisire esperienza nell’agricoltura e nell’allevamento. 

- Il Parco per lo Sport. All’interno del Parco dell’Inviolata vengono disegnati percorsi con accessi dalle frazioni circostanti. Piste in terra battuta e grandi prati permetteranno alla cittadinanza di avere finalmente un luogo pubblico dove giocare e fare passeggiate e sport all’aria aperta. 

- Il Parco degli Eventi. Il visitor center del Parco dell’Inviolata offrirà spazi per eventi, spettacoli, mostre e fiere. Uno spazio tecnologico e innovativo dove organizzare programmi di educazione ambientale e presentare ai visitatori tanto la storia e l’archeologia quanto i prodotti del parco. 

- Il Parco Informatizzato. Uno degli elementi innovatori sarà la creazione di un sistema informatico di gestione del verde e della comunicazione con il cittadino, un portale dove si interfacceranno da un lato giardinieri, botanici, manager del parco e dall’altro i visitatori. Attraverso questo portale gli interessati potranno informarsi su eventi organizzati (cinema, teatro, conferenze e workshop) e su quelli naturali (nuove fioriture, migrazione di uccelli, prodotti agricoli, produzione del miele, bruciatura delle potature, etc.). Fondamentale per creare partecipazione e condivisione. 

Oltre alla salvaguardia delle poche aree boschive rimaste o al recupero di quelle inquinate, il progetto prevede l’introduzione di nuove aree verdi urbane che portano con sé l’annoso problema dei costi di manutenzione. 

Si propone una nuova concezione del verde urbano, che consideri la sua creazione e il mantenimento non come fasi separate. Integrare l’aspetto manutentivo nel progetto cambia fortemente il modo di pianificare un parco. Il concetto di mantenimento preventivo, correttivo e di conduzione è utilizzato per dimostrare che la stessa manutenzione risponde al controllo e all’adattamento del parco, secondo i bisogni del fruitore che cambiano col passare del tempo. Il concetto di parco tendente alla rinaturalizzazione è utilizzabile in ambito di ricerca scientifica: la piantumazione di un numero sufficiente di alberi e arbusti non è seguita dalla lunga fase di mantenimento, ma lascia, al contrario, la natura fare il suo corso. “Densificare” il verde, permettendo alle piante di lavorare riducendo la concentrazione di anidride carbonica e producendo ossigeno, è una tendenza attuale anche in Austria e Svizzera. 

La presenza del verde urbano e delle buffer strip rappresenterà il nuovo tessuto connettivo del territorio, favorendo in tal modo il passaggio di specie animali e vegetali e permettendo il ripopolamento autonomo e la rinaturalizzazione dell’area, obiettivo finale del progetto.

di COLLABORATIVE ARCHITECTURE MAKERS
Arch. Ravi Lopes Calamita e Arch. Pep Wennberg * Call Tematica