Maurizio Geusa: Una carta per censire il patrimonio pubblico capitolino

Riportiamo di seguito il testo corretto dell'intervista, a sostituzione di quello pubblicato erroneamente nella versione cartacea.

Una mappa per censire le proprietà dell’amministrazione capitolina. In nome della trasparenza e al fine di valorizzare il patrimonio stesso. È la Carta della Città Pubblica, una mappa completa e dettagliata delle proprietà del Demanio, di Roma Capitale, della Regione Lazio, della Provincia, dell’Agenzia Nazionale Beni Confiscati e Sequestrati, dell’Inail cui vanno aggiunti i beni di ATER e di tutti gli altri enti e soggetti pubblici titolari di immobili, che siano terreni o edifici.

Un lavoro durato un anno, sotto la direzione dell’architetto Maurizio Geusa, con la collaborazione del centro studi di Risorse per Roma nella persona dell’architetto Daniela Santarelli. Si tratta di un’iniziativa che potrebbe avere importanti ricadute positive nell’attivazione di un processo di recupero e rigenerazione urbana. «È un’operazione mai tentata prima, per certi versi rivoluzionaria - spiega Geusa -.

Non partivamo da zero, perché c’era già un censimento del patrimonio militare che copre grandi superfici di Roma, circa undici milioni di metri cubi, una quantità tale che consentirebbe di ospitare tutta la pubblica amministrazione romana risolvendo il problema delle locazioni passive per sempre, tanto per avere un’idea». 

Ma se il patrimonio militare era già stato in qualche modo mappato, proprio il censimento ha rivelato che molte delle proprietà del Comune di Roma, incredibilmente, non erano mai state cartografate, soprattutto nel caso del patrimonio immobiliare degli enti pubblici, che solo nella capitale ammontano a più di duecento. A queste si sono aggiunte le cosiddette proprietà a seguito delle compensazioni edificatorie, ampie aree di verde cedute all’Amministrazione, finora rimaste abbandonate.

«Il Comune - continua Geusa - aveva stretto circa una trentina di convenzioni urbanistiche che prevedevano trasferimenti di proprietà dei terreni di origine, i famosi parchi, a compenso di nuove costruzioni, che però non erano mai stati cartografati. Dal censimento sono emersi anche 500 ettari di terreno agricolo, sul quale ora procederemo all’affidamento alle cooperative agricole».

La mappa, che identifica le proprietà con diversi colori dal rosso acceso al blu cobalto, ha cartografato 40.084 oggetti la cui estensione totale raggiunge i 33.762 ettari corrispondenti al 26,2% dell’intero territorio comunale esteso, come noto, per 129.000 ettari. La si può consultare presso la Direzione Gestione Patrimonio ed è inoltre disponibile online sul sito di Roma Capitale.

Ora la sfida è fare in modo che il patrimonio pubblico venga valorizzato al suo meglio proprio a partire da questo importante documento. «La Carta - continua Geusa - rende fruibili una serie di informazioni utili alla gestione del territorio, a partire dalla definizione delle proprietà, anche per evitare il rischio di usucapione da parte privata. Si pensi al caso del Borghetto Flaminio, oltre 3.000 metri quadrati, che un privato si è appunto aggiudicato per usucapione».

La Carta vuole invece essere il primo passo concreto per l’ottimizzazione di questi beni, a partire dagli interventi di rigenerazione urbana. «Le operazioni di trasparenza - prosegue Geusa - sono sempre le più proficue e produttive. Prendiamo il caso della delibera 8 del 2010, il famoso protocollo d’intesa Alemanno per la dismissione di 15 caserme. Il fatto che sia stato reso pubblico ha fatto sì che il Conservatorio di Santa Cecilia trovasse casa a Sant’Andrea delle Fratte e la Corte dei Conti si trasferisse in via dei Barbareschi, mentre il Ministero dei Beni Culturali ha individuato nella caserma del Trullo la possibile localizzazione futura degli Archivi di Stato. C’è stato insomma all’interno dell’amministrazione pubblica un processo di razionalizzazione delle risorse».

Solo una delle possibili ricadute della mappa. Se infatti fino ad oggi i progetti sono stati sviluppati senza partire dallo stato di fatto, ora per la prima volta l’Amministrazione capitolina si dota di uno strumento che consente un controllo capillare del territorio, in un’ottica di riuso e valorizzazione del patrimonio pubblico che porti a risultati perseguiti da tempo ma mai ottenuti.

A questo proposito uno dei nodi cruciali, che in qualche modo la Carta solleva, riguarda l’interesse dei privati. «Che quando si parla di patrimonio artistico-culturale è praticamente inesistente, come dimostra la vicenda Atac, tanto per citare un caso emblematico» osserva Geusa. «Sono situazioni incancrenite, bloccate. Quindi se da un lato non possiamo perdere l’occasione scaturita da questi gioielli, occorre trovare un’altra strada soprattutto nel caso di patrimonio artistico-culturale e in una situazione di ristrettezze economico-finanziaria ormai cronica». Geusa cita anche il caso della legge 85 del 2010, quella sul federalismo demaniale. «La legge consente di trasferire beni di proprietà demaniali soggetti a vincolo storico culturale agli enti locali che ne facciano richiesta sulla base di un progetto di valorizzazione culturale. Una legge nata per la valorizzazione del patrimonio artistico, che in cinque anni è stata applicata per una trentina di edifici in tutto il Paese. E di questi si contano sulle dita di una mano quelli che hanno visto l’interessamento di soggetti privati».

Un destino analogo rischia di compiersi per la cintura dei 14 forti, 9 di proprietà demaniale, 6 trasferiti all’Amministrazione capitolina.

«I forti - dice Geusa - sono strutture architettoniche il cui riuso non è affatto semplice, dal momento che si tratta di spazi interrati, bui e privi di un’efficace sistema di aereazione, senza allacci né reti che, per essere riutilizzati, necessitano di lavoro di consolidamento. Per di più sono sottoposti sotto la stretta tutela della Soprintendenza. L’unica possibilità sarebbe quella di coinvolgere i privati, che però difficilmente troveranno il progetto interessante».

All’opposto, quando i privati hanno un interesse in un progetto di valorizzazione del patrimonio pubblico accade che il privato coinvolto fin dall’inizio abbia praticamente carta bianca. Coinvolgere il privato in un momento in cui le potenzialità del bene sono ancora tutte da sviluppare, gli consente di fatto di poter dettare le proprie condizioni. Al contrario in molti Paesi dell’Unione Europea lo Stato interviene in una prima fase, mettendo il bene in condizione di essere valorizzato, e solo a quel punto subentrano i privati.

Emblematico il caso di Parigi Rive Gauche - Bercy, uno dei progetti di riqualificazione meglio riusciti al mondo. Era un’area periferica della capitale di Francia, soggetta a spopolamento. In prima battuta l’amministrazione ha realizzato una metropolitana veloce, poi ha avviato un progetto di grande impatto socio culturale che comprende la Biblioteca Nazionale, diventata un vero polo di aggregazione. Infine ha messo a punto un piano di riqualificazione sostenibile e, solo a quel punto, ha ceduto al privato, inserendolo nel processo di valorizzazione, a condizioni ben definite e verificando lo stato di avanzamento delle valorizzazioni passo dopo passo.

«Non credo esista una formula unica - conclude Geusa - prendiamo il caso del comprensorio di Pietralata, che ha avuto un iter molto simile a quello di Parigi Rive Gauche, ovvero c’è stato prima un esproprio, a cui è seguito un progetto di urbanizzazione, ma tuttora stenta a trovare un’attuazione». La sfida per il futuro è proprio quella di trovare la formula più proficua per far funzionare i rapporti tra pubblico e privato. Anche a partire dal ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, che attualmente non ha nessun potere di selezione del progetto che il privato intende realizzare. «La norma ha sempre una dimensione ideale di attuazione, si tratta di provvedimenti legislativi che se si trovano ad essere applicati alla singola palazzina non sono più adeguati. Al momento comunque le strade sono due, c’è la gestione ordinaria oppure c’è l’ipotesi del laboratorio partecipato, che a mio parere può dare grandi frutti».


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