Recupero

Dopo decenni segnati da un ciclo economico sostanzialmente espansivo, che si è tradotto in una progressiva estensione dei territori urbanizzati, la situazione economica e ambientale attuale, con la prospettiva di risorse scarse e preziose non solo dal punto di vista finanziario ma anche ecologico, fa emergere l’importanza di lavorare sempre più sui fattori qualitativi dello sviluppo per affrontare il cambiamento culturale e materiale che la crisi del modello di sviluppo quantitativo ci propone. La domanda per le tipologie di prodotto edilizio che il mercato era abituato a offrire è in grave difficoltà, e questo può costituire un’occasione strategica per riprogettare la città secondo modelli evolutivi più vicini alle necessità dei cittadini e in cui le parole welfare urbano e sostenibilità vengano sostanziate dai fatti. Uno scenario in cui le risorse limitate siano indirizzate a reale vantaggio del bene collettivo.  Un’importante occasione per intraprendere nuovi percorsi di rinnovamento urbano è costituita dalle opportunità offerte dal recupero delle aree demaniali, per le quali la Legge 42 del 2009 ha trasferito le competenze a livello locale, dando così all’Amministrazione capitolina nuove prospettive per la rigenerazione urbana. Tali aree sono infatti collocate in posizioni centrali, dunque strategiche per l’innesco di processi di sviluppo e trasformazione. A Roma il patrimonio dei beni pubblici è prevalentemente inserito nella Città Storica e nei tessuti consolidati per i quali costituisce elemento di discontinuità morfologica e disomogeneità funzionale. Si tratta nella maggior parte dei casi di caserme, immobili demaniali militari e grandi attrezzature di servizio come depositi, magazzini e rimesse autobus.Gli insediamenti militari si estendono per oltre 1.800 ettari (1,4% del territorio comunale), con oltre 11 milioni di mc, concentrati, dal punto di vista delle aree, per 60% (oltre 1.000 ha) nei poli di Cesano e Cecchignola, mentre il dato sulla cubatura rileva un 30% circa dei volumi (oltre 3 milioni di mc) concentrato nella Città Storica. Il patrimonio ATAC oggetto di alienazione e valorizzazione, anch’esso importante anche se decisamente inferiore, riguarda 22 ha e 196.000 mc. Il protocollo firmato nel 2010 tra Roma Capitale e il Ministero della Difesa prevedeva la valorizzazione e l’alienazione di 15 strutture militari, per circa 1.500.000 mc e oltre 500.000 mq di Superficie Utile Lorda, individuate in funzione della loro collocazione strategica all’interno del contesto urbano e localizzate in situazioni definite dal PRG come “Ambiti di programmazione strategica” (Foro Italico Eur, Parco Archeologico Monumentale, Mura, Tevere, Anello Ferroviario). Nell’elenco sono presenti quattro forti (Forte Boccea, Forte Trionfale, Forte Tiburtino e Forte Pietralata) che si aggiungono ai cinque già nella disponibilità dell’Amministrazione capitolina (Forte Bravetta, Forte Portuense, Forte Ardeatino, Forte Prenestino, Forte Monte Antenne). Nel complesso un patrimonio pubblico importantissimo che, se messo a sistema, potrebbe diventare un elemento di inclusione e di riconnessione dei tessuti urbani piuttosto che elemento di cesura ed esclusione com’è stato per decenni. Analogamente il Piano Strategico del 2010 prevede per il patrimonio ATAC, un programma complessivo di integrazione funzionale nei tessuti residenziali come occasione di dotazione di verde e servizi. Tuttavia, i progetti proposti negli anni passati da ATAC per la vendita delle aree dismesse (15 aree edificate e non tra depositi, ex rimesse, sottostazioni elettriche, uffici) hanno creato forti opposizioni tra quanti, dai Presidenti dei Municipi ai comitati dei cittadini, hanno rilevato nelle proposte avanzate il grave rischio di un aggravamento del carico urbanistico senza il soddisfacimento del bisogno di servizi da tempo sentito dai territori. La situazione non ha avuto evoluzioni positive.  Per le strutture militari vi sono stati, invece, alcuni recenti sviluppi. Dopo la presentazione a inizio anno del progetto di riuso della caserma Guido Reni per insediarvi la Città della Scienza, a inizio agosto, dopo un lungo iter, è stato approvato uno schema d’intesa per l’acquisizione e il reimpiego di altre sei caserme da parte di Roma Capitale: prima la Ulivelli al Trionfale, dove secondo l’Assessorato alla Trasformazione Urbana a breve dovrebbero trasferirsi gli uffici del XIV Municipio, in seguito la Ruffo in via Tiburtina, la Donato al Trullo e quella di viale Angelico a Prati, il Forte Boccea e l’ex magazzino dell’aeronautica al Porto Fluviale. Sembra essersi avviato un percorso, anche se appare essere ancora lungo. 

Altri progetti hanno iter più avanzati e si può dire abbiano raggiunto una fase di maturità come quello dell’Ex Mattatoio a Testaccio, che ospita i padiglioni della Facoltà di Architettura, la Città dell’Altra Economia nel Campo Boario, i padiglioni del Macro e la Pelanda, l’Accademia di Belle Arti e accoglierà in futuro il Museo della Fotografia. Quello che però sembra ancora mancare in questo caso è un progetto di gestione unitario, che sappia produrre relazioni positive tra questi spazi autenticamente pubblici, potenzialmente inclusivi, vissuti quotidianamente da persone diverse per età, formazione e provenienza. 

Quello che appare carente è una razionalità pubblica chiara e non contraddittoria, che sappia trovare una strada per dispiegarsi superando le pressioni degli interessi costituiti e le pastoie di apparati procedurali ancora troppo pesanti da gestire. 

Claudio Toti: Il ruolo dell’edilizia nel rilancio del paese 

Claudio Toti Ingegnere, Presidente della Lamaro Appalti Spa

“Rigenerare, migliorare l’estetica delle città, la qualità della vita dei suoi abitanti, sono i principi fondamentali degli interventi sull’ambiente urbano, che si dovranno affrontare nei prossimi anni”. È la sfida lanciata dal costruttore Claudio Toti per restituire a Roma la sua centralità, senza cancellare memoria e identità.  

Qual è la sua idea di città? 

Pensare la città oggi significa trovare il modo di recuperare il ritardo in cui versano molte città italiane rispetto alle più importanti capitali europee, cogliendo immediatamente tutte le opportunità di rinnovamento e sviluppo, facendo riferimento alle potenzialità che il nostro Paese è in grado di esprimere e non solo. È indispensabile un prepotente rinnovo immobiliare (case, uffici, scuole, carceri, ospedali, ecc.) che passa necessariamente attraverso il rilancio infrastrutturale.

E quella di bene comune?
La ricerca del bene comune è connaturata all’uomo, come già evidenziato nel XIII secolo da San Tommaso d’Aquino. L’uomo è un essere sociale e politico e non può soddisfare i propri bisogni materiali e morali senza la collaborazione e la solidarietà degli altri. In tal senso condivido profondamente le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quando ha richiamato l’Italia al senso del bene comune, che dovrebbe spingere a una larghissima assunzione di responsabilità, a ogni livello della società, in funzione dei cambiamenti divenuti indispensabili non solo nelle istituzioni, ma nei comportamenti individuali e collettivi, nei modi di concepire benessere e progresso e di cooperare all’avvio di un nuovo sviluppo del Paese.

Come si tutela secondo lei l’identità culturale di una città? A quali costi?
Considerando il patrimonio storico-culturale come una risorsa dell’ecosistema urbano. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra la conservazione del patrimonio culturale costruito e lo sviluppo socio-economico dei contesti, al fine di rafforzare la loro attrattività e competitività. Le risorse a disposizione sono scarse, ed è per questo che bisogna mettere in campo competenza, energia e capacità di intercettare e mobilitare gli investimenti privati.

Come si innova il paesaggio di una città millenaria? 
Per far rivivere i luoghi, senza cancellarne la memoria e l’identità, penso sia necessario restituire ai luoghi stessi le funzioni d’uso in chiave contemporanea rispettandone la storia e le radici culturali. Riportare qualità e identità a contesti urbani di pregio è un’opportunità straordinaria per rispondere alle sfide delle trasformazioni culturali in atto. 

Anche secondo ANCE il rilancio del settore edilizio passa per attività di rigenerazione urbana e quindi per attività di recupero, sostituzione edilizia, costruzione sul costruito. Ritiene che questa strada sia realmente praticabile da parte dell’imprenditoria romana? Quali sono secondo lei i principali ostacoli burocratici da abbattere?
Si avverte molto forte il bisogno di un rilancio che si traduca in una nuova fase di progettualità e di una concretezza che in questi anni sono mancati. Serve un cambio di passo, bisogna rinnovare le logiche, aumentare l’attrattività, investire nell’innovazione d’impresa e nel capitale umano. Le procedure tradizionali sono oggi superate dalla nuova e complessa rete delle azioni e degli interessi dei molti “attori” coinvolti nelle modificazioni urbanistiche, dalla velocità e dalla episodicità con cui le decisioni di investimento si presentano e chiedono di essere soddisfatte. Nella città contemporanea il cambiamento è interno e si basa sulla disponibilità di aree che hanno perso la loro funzione originaria e rappresentano occasioni per nuove opportunità di investimento. Rigenerare, migliorare l’estetica delle città, la qualità della vita dei suoi abitanti sono i principi fondamentali degli interventi sull’ambiente urbano, che si dovranno affrontare nei prossimi anni. 

Quali possono essere a suo avviso le strategie possibili per il riavvio del mercato immobiliare nella città di Roma?
Quartieri degradati, ma non privi di identità, opportunamente rigenerati, con sostituzioni funzionali e rinnovo edilizio, dotati di nuovi e necessari servizi potranno aiutare la ripresa immobiliare, permettendo di continuare a considerare la casa come un “bene rifugio”. Bisognerà individuare un’offerta immobiliare più flessibile che tenga conto della profonda trasformazione della collettività. Le famiglie numerose sono sempre di meno, i single sempre di più, ma si deve evitare che ognuno si rinchiuda nel proprio spazio e creare invece luoghi per attività collettive che individuino un nuovo modo di vivere insieme. Recuperare gli ambiti compromessi, consente di accrescere l’offerta di beni e servizi finalizzati alla qualità ambientale e alla corretta fruizione delle risorse in un’ottica di promozione dello sviluppo.

Che ruolo possono avere gli architetti nel rilancio del settore edilizio? Come imprenditore cosa chiede agli architetti?
Per ristabilire le condizioni di competitività, efficienza e sviluppo del Paese il coinvolgimento dell’industria delle costruzioni resta cruciale e strategico. Chiedo agli architetti progettualità capaci di creare soluzioni per l’efficienza funzionale, per la qualità formale ed estetica, per attrarre investimenti, rispondendo al contempo alle esigenze dei fruitori. Chiedo che contribuiscano alla competitività e all’innovazione dell’impresa con progetti in grado di rilanciare il nostro Paese nell’internazionalità. Desidero che abbiano una “smart city specialisation” e che siano in grado di mettere a punto ipotesi e modelli strategici di riqualificazione del mercato edilizio, dedicando la necessaria attenzione agli aspetti energetici che ampliano gli orizzonti di sostenibilità degli interventi. Ritengo necessario che sappiano come elevare questi processi, che contribuiscono all’ammodernamento del “sistema Paese”, a modelli replicabili, migliorabili e misurabili.


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